Roma, 31 gen – L’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica ha riportato agli onori del dibattito politico un evento di cronaca che, a detta di molti, oltre alla sfera privata ha influenzato notevolmente anche la vita pubblica di Mattarella, ovvero l’omicidio del fratello Piersanti.
La mattina del 6 gennaio del 1980, l’allora presidente della Regione Sicilia, da fervente cattolico si apprestava ad andare a seguire la messa dell’epifania insieme alla moglie Irma e ai figli Bernardo e Maria. Una macchina affianca la Fiat 132 nera del politico Dc, un giovane in jeans e giubbotto spara quattro colpi di pistola contro il finestrino del guidatore; Piersanti Mattarella viene colpito, due proiettili raggiungono anche la moglie, ferita alla mano. Il killer si allontana, poi ritorna verso l’auto e riversa altri proiettili contro Mattarella; alla fine saranno otto, tutti andati a segno, anche se il presidente della regione non muore sul colpo: spirerà poco dopo tra le braccia della moglie e del fratello Sergio, accorso in strada appena ebbe sentito gli spari.
Il clima della Palermo degli anni ’80 non lascerebbe dubbi alla matrice mafiosa del delitto, Leonardo Sciascia parla di “confortevoli ipotesi” che confermerebbero l’idea di un omicidio politico voluto dai corleonesi. Ma il 1980, oggi lo sappiamo bene, sarà l’anno della strage di Bologna, della pista neofascista come soluzione per i segreti inconfessabili della nostra Repubblica; spunta così la pista dei Nar, annunciata da fumose rivendicazioni telefoniche, che vede coinvolti Giusva Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini quali esecutori del delitto, e il palermitano Francesco Mangiameli come basista e favoreggiatore. Perfino il cardinale Pappalardo, nell’omelia tenuta l’otto gennaio, si spinge a sentenziare “Una cosa sembra emergere sicura: è impossibile che il delitto sia attribuibile a sola matrice mafiosa. Ci devono essere anche altre forze occulte esterne agli ambienti, pur tanto agitati, della nostra isola”.
Fioravanti sarà riconosciuto in un confronto fotografico dalla signora Irma, moglie di Mattarella, ma la sua testimonianza non verrà ritenuta attendibile in quanto fortemente condizionata dal coinvolgimento emotivo. A dare manforte alla pista dei killer neofascisti spunta, quindi, il “solito” Angelo Izzo, famigerato mostro del Circeo, al quale apparati dello Stato hanno concesso delle grazie tanto ingiustificate quanto drammatiche (nel 2005 Izzo, a un anno dalla scarcerazione, massacrò a Ferrazzano, vicino Campobasso, Maria Carmela e Valentina Maiorano) in cambio di testimonianze di comodo.
Occorre aspettare il 1992 e la strage di Capaci perché il super pentito Tommaso Buscetta inizi a rilasciare dichiarazioni anche sul delitto Mattarella. Il collaboratore di giustizia riferisce che l’omicidio fu deliberato dalla “Commissione”, all’interno della quale la maggioranza di Riina prevalse sul gruppo di Stefano Bontate, il quale avrebbe voluto evitare il delitto. In tempi recenti anche Francesco Marino Mannoia, dopo essersi dissociato da Cosa nostra, ha confermato la versione di Buscetta, aggiungendo che Giulio Andreotti era al corrente dell’insofferenza dei corleonesi verso le politiche di Mattarella ma che l’ex presidente non ebbe reazioni di sorta, e non ritenne opportuno informare la magistratura, poiché aveva interesse a consolidare l’ascesa della sua corrente palermitana, guidata da Vito Ciancimino.
Gli esecutori materiali del delitto non sono mai stati identificati ma, nel corso degli anni, si è fatta chiarezza sui reali motivi che hanno spinto la mafia a decretare la morte di Piersanti Mattarella. Nel corso del 1979 l’allora presidente della Regione aveva assestato duri colpi al nascente sistema economico-politico ideato da Cosa Nostra. Il primo provvedimento riguardava la rimozione dell’assessore Rosario Cardillo, del Partito Repubblicano, coinvolto in un sistema illecito di controllo sugli appalti. A seguire giunse l’ordine di una ispezione straordinaria sul Comune di Palermo, attraverso la quale fu bloccata la costruzione di sei scuole appaltate ad aziende riconducibili al capo area della mafia Rosario Spatola. In quel contesto di controllo serrato degli appalti e di lotta allo sviluppo economico di Cosa Nostra, Mattarella venne convocato a Roma dall’allora ministro degli Interni, anch’egli della Dc, Virginio Rognoni, per un colloquio privato ed estremamente riservato. Neanche la famiglia venne informata dei motivi del viaggio a Roma; l’unica persona a conoscere l’agenda politica e ad essere informata era la segretaria personale, alla quale Mattarella, prima della partenza, confidò: “Se dovesse succedermi qualcosa di molto grave si ricordi questo incontro con il ministro Rognoni. A questo incontro è da collegare quanto di grave mi potrà accadere”.
Francesco Pezzuto