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Morto De Luca è vivo De Luca

by Tony Fabrizio
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Roma, 10 apr – Vincenzo De Luca sarebbe dovuto morire, politicamente sia chiaro. Con l’estinzione dell’emergenza Covid o con il terzo mandato, se non gli fosse riuscito il giochetto della legge ad personam. E invece, ancora una volta, l’Italia intera parla di De Luca. Com’era? Nel bene o nel male, purché se ne parli! Così da oggi, tutti gliene ne stanno dicendo di tutti i colori. Nel senso che tra i tanti colori c’è anche il rosso-De Luca. Ma i conti non tornano: a contare giubili e insulti sparati nel metaverso, De Luca non avrebbe mai dovuto vincere. Né essere riconfermato. E sarebbe stato interessante pure vedere se fosse stato applicabile l’adagio “non c’è due senza tre”.

No al terzo mandato, ma De Luca fa ancora parlare di sé

Al netto degli ultimi fatti accaduti, di quanto fatto accadere da De Luca regista e De Luca primo attore, con tempi scenici invidiabili, ieri, oggi e domani l’Italia intera ha ancora De Luca in bocca. Nel bene e nel male. De Luca è quanto di più lontano ci sia dal mio pensiero politico, sia chiaro. “Vicienzo” è il folle dei più folli dell’era pandemica. È quello che ha partorito le stravaganze più assurde in tema di contenimento del contagio. È quello che con il Covid è resuscitato e ci ha campato mentre la gente moriva. Quello che ha inaugurato più volte gli stessi reparti ospedalieri mai entrati in funzione. Quello che sotto la sua egida di commissario straordinario ha distrutto la sanità campana. Che ha fermato il mondo, ma non il “suo” concorsone sotto elezioni. Che ha inventato la piovra di “favori”, denominato dai giudici “Sistema Salerno”, ma non è imputato in alcun processo, nemmeno per la pandemia. Che ha l’astuta capacità di mettere davanti a sé dei parafulmini che gli consentono di uscire integro e indenne dalle tempeste. È quello della zona rossa quando la gente aveva paura e si tappava in casa. È quello che la gente aveva paura a togliere la mascherina e lui ne prorogava l’utilizzo. È quell’animale, anzi, la bestia, politica, estremizzazione della concezione demagogica di quest’arte, che, però, riesce a farsi interprete del comune sentire. È quello che voleva rendere “autonoma” la Campania dal governo centrale, prima ancora che questo governo sognasse di fare l’autonomia differenziata.

Un politico per la massa

Lo so, un politico è colui che anticipa il pensiero e non segue quello dettato da altri, ma De Luca è un politico per la massa, della massa. E dalla massa è apprezzato. Ha la furbizia di farsi interprete del pensiero dei più e passare addirittura per capopopolo facendo il Masaniello a Roma: chi non ricorda la sua marcia alla testa di oltre cento sindaci per trovare, poi, Palazzo Chigi comicamente chiuso? Orazione. Ovazione. Che non è il discorso dei gauche au caviar con la erre moscia.
Lui è il buzzurro campano, anzi, lucano, l’amaro diventato apprezzato limoncello di Costiera, un personaggio diventato macchiettistico e persino imitazione di Crozza quando Crozza fa(ceva) l’imitazione di De Luca. È il buffone di corte che non faceva più ridere, se mai rodere, quando non c’era niente da ridere e c’è ancora molto da rodere. Con Berlusconi avrebbe potuto condividere le accuse per la legge ad personam – vedasi l’impossibilità per aprire al suo terzo mandato che avrebbe significato la blindatura di sé stesso ad aeternum, almeno secondo la Sua volontà – e invece con Berlusconi rischia di condividere solo la sua fine. Però, c’è un però: col suo modo di fare, De Luca fa. Oggi fa parlare di sé, ieri è diventato popolare per il suo (non) fare, domani sarà ancora il protagonista di qualche sua uscita per non uscire di scena. Il vero capolavoro di De Luca è essere De Luca. Non fare politica, ma fare il politico. Checché se ne dica e se ne pensi, lui fa il bello e il cattivo tempo. In Campania come nel partito, come nell’Italia tutta. È un piddino-non-piddino. Non pedina. È di sinistra? Ni. È “de destra”? Boh. De Luca è detestato a destra perché pensano sia di sinistra e odiato a sinistra perché fa l’uomo di destra. Ma a destra, a sinistra o al centro c’è un altro De Luca? Un anti-De Luca? Un vice-De Luca? Purtroppo, no. Nel bene e nel male. È questo il “capolavoro” politichese compiuto da De Luca. Peggio di lui solo i suoi avversari di partito, dipartiti e ideologici che oggi esultano perché De Luca è morto, ma loro non sono stati capaci di batterlo alle urne né di capire che il centrodestra campano nel 2009 è riuscito a racimolare appena il 36% delle preferenze (un risultato insufficiente per contrastare il “famoso” campo largo) e a gioire solo per la di lui sconfitta, ma in ambito giudiziario.

Chi dopo di lui?

De Luca è uno e trino, il sistema Salerno è ben oleato, già oggi ha sciorinato un lungo elenco sulle pagine sociale della Regione – come se fosse una cosa normale, ma senza che nessun oppositore facesse nulla – con le “opere” che potrebbero fallire senza di lui. Con lui, invece, significa con l’onorevole figlio Pierino, in rotta con il partito, come “da tradizione paterna”. C’è anche il magnifico rettore e sindaco di Napoli che si scrive Gaetano Manfredi, ma si legge Vincenzo De Luca. In lui ancora alberga un qualcosa di egemonia togliattiana, di occupazione dei reparti chiave dell’indotto di Palazzo San Giacomo. De Luca, proprio per il deserto che è stato capace di crearsi intorno, a destra e a sinistra, ha ancora il potere di far vincere le elezioni al campo largo o di farle fallire. Dello “sceriffo” si continuerà a parlare ancora per tanto. Per troppo. Purtroppo.

Tony Fabrizio

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