Roma, 20 mar – Alla fine tocca dare solidarietà a Rita Dalla Chiesa. Vedendo che Giorgia Meloni si è candidata a sindaco di Roma, la conduttrice, corteggiata proprio dalla leader di Fratelli d’Italia, si sarà sentita sedotta e abbandonata, dato che, a quanto pare, sull’improbabile carriera politica ci aveva persino fatto un pensierino. E invece niente, l’ex animatrice di Forum è stata vittima di una giravolta della Meloni. Non è stata l’unica, peraltro.
Sulle comunali di Roma, la leader di FdI ha compiuto diverse capriole. La prima, per l’appunto, proponendo il nome di una conduttrice televisiva di sconcertante banalità come candidata per la guida del comune più importante d’Italia e scavalcando Berlusconi stesso sul suo terreno prediletto: quello della confusione tra mondo dell’intrattenimento e politica. Tutti si chiedevano, del resto, perché non si candidasse lei, ma sul punto, in una intervista con il Corriere della Sera, era stata fermissima: “Una campagna elettorale che si concluderebbe al settimo mese, per un mandato che ti impegna anima e corpo mentre nasce il tuo primo figlio, ti porta a pensare che non sia la strada giusta”. Nel frattempo, il Cav aveva però ripreso in mano la situazione, imponendo Guido Bertolaso. La Meloni si è presto adeguata. Anzi, a un certo punto è diventata ultras di Bertolaso.
Mentre Salvini non è mai stato convinto di sostenere l’ex capo della Protezione civile, sia pur senza avere uno straccio di contro-proposta, la Meloni si è schierata forte e chiaro. Ne è prova il tragicomico selfie spernacchiato dalla rete, con l’avventata didascalia: “Fatevene una ragione: mentre voi parlate noi siamo già al lavoro per ricostruire Roma” . In quel momento l’asse Berlusconi-Meloni era più saldo che mai, mentre la Lega sembrava isolata. Poi, ulteriore capriola: salta tutto, rinasce il feeling con Salvini, Berlusconi viene messo all’angolo. E la Meloni si candida. A chi le dice che anziché il sindaco deve fare la mamma risponde indispettita, ma era la stessa motivazione per non candidarsi che poche settimane prima aveva dato lei stessa. Rottura consumata fra la leader di FdI e Berlusconi, quindi. O forse no? Annunciando la sua candidatura, la Meloni ha usato parole di miele nei confronti di Bertolaso, ovvero dell’uomo che, candidandosi, stava silurando: “Il tuo curriculum è valore aggiunto, dacci una mano, vieni qui, lavoriamo ancora insieme. Bertolaso non è riuscito a tener compatta la coalizione e a scaldare il cuore dei romani. Dico a Bertolaso: non farti strumentalizzare, si può fare ancora insieme. Non mi interessa la leadership del centrodestra, mi interessano i romani. Voglio fare un appello a Salvini, a Berlusconi e a tutto il campo del centrodestra: aiutatemi a non lasciare Roma ai 5 stelle, vinciamo insieme, si può fare”.
Insomma, chi ci capisce è bravo. Un po’ come quando Fratelli d’Italia si atteggiava a principale forza anti-Monti quando la Meloni, nel Pdl, aveva tranquillamente votato la fiducia al governo tecnico. Un po’ come sul fascismo. A Francesca Pascale, che ha ritirato fuori la pregiudiziale antifascista contro di lei, la Meloni ha replicato con un ragionamento che definire contorto è dire poco: “Non sono fascista ma distinguo l’antifascismo storico da quello politico. L’antifascismo nella storia repubblicana è qualcosa che guardo con sospetto perché è stato usato per ammazzare gente. L’antifascismo è stato utilizzato politicamente per mettere all’angolo gente e alcune volte per ammazzarla. Riconosco tutti i drammi legati alla storia del fascismo, ma non ha alcun senso legarsi alla storia di 70 anni fa”. Ma insomma, è antifascista o no? Per capirlo, servirebbe forse una puntata di Forum.
Giorgio Nigra