Roma, 28 apr – La Rivoluzione fascista non fu solo un evento politico; fu, in primis nella visione di Benito Mussolini, un atto metastorico: il tentativo di plasmare un uomo nuovo, forgiato nella volontà, nella fede e nell’azione. Alla radice di questo progetto si avverte con forza la presenza della filosofia vitalista e nicciana, che accompagnò Mussolini lungo tutto il suo percorso politico.
Mussolini e la filosofia incarnata
Fin dagli anni del socialismo rivoluzionario, Mussolini si nutrì dell’idea nietzschiana del divenire incessante contro ogni forma di immobilismo borghese e parlamentarista. Già nel 1904, Mussolini poteva affermare: “non pretendiamo di possedere la verità, l’assoluta verità, ma semplicemente affermiamo il diritto di ricercarla e ci proponiamo questa ricerca, scopo della vita”. È ancora l’agitatore socialista che polemizza con il pastore evangelista Alfredo Taglialatela, in una sera d’inizio primavera alla Maison du Peuple di Losanna. Ma sarà proprio nel Fascismo che questo pensiero ancora in nuce troverà pieno compimento: la rivoluzione permanente come condizione spirituale. Come ha messo in evidenza Adriano Scianca nel suo Mussolini e la Filosofia, è falso e superficiale rappresentare il Duce come un uomo privo di cultura. Al contrario, Mussolini ebbe una formazione filosofica articolata, nutrita non solo da Nietzsche, ma anche da Sorel, Pareto, Hegel e da tutta la tradizione anti-illuminista europea da Mazzini a Spengler. Scrive Scianca, per fugare ogni dubbio: “Mussolini non fu filosofo di professione, ma visse la filosofia nella carne e nelle opere”. Questa profonda tensione intellettuale, tutt’altro che lineare, emerge con chiarezza lungo tutto l’opera politica di Mussolini: dal socialismo all’intervento, da San Sepolcro alla marcia su Roma, dall’Etiopia alla Repubblica.
Fare l’uomo nuovo
Fare l’uomo nuovo, non solo cambiare le leggi. Quello Fascista non è solo un programma politico, ma un compito ontologico, esattamente come in Nietzsche, dove l’uomo non è l’uomo “naturale” degli istinti e dei diritti, ma l’uomo che tende a superarsi senza tregua, che vuole essere “ponte”, il cavo teso verso il superuomo. La gioventù, rientra in pieno dentro questa visione: essa non è solo un’età, e nemmeno la semplice esteriorità, ma una condizione esistenziale permanente. Nel Fascismo, attraverso il Fascismo, con il Fascismo, la gioventù assume il ruolo di leva metastorica: non per conservare, ma per creare. Il giovane – nella visione Mussoliniana – non deve semplicemente “servire” l’ordine costituito, ma diventare protagonista di un’opera di continua rigenerazione. “L’uomo politico – disse il già Duce d’Italia ad Emil Ludwig venuto ad intervistarlo a Palazzo Venezia nella primavera del 1932 – non può rinunciare alla fantasia, altrimenti è arido e si spegne del tutto… nessuno può compiere qualcosa di degno senza un sentimento poetico, senza la fantasia”. Ventotto anni dopo il contraddittorio di Losanna in Mussolini ancora prevale il senso profondamente nicciano della vita: immaginare ciò che si desidera, volere ciò che s’immagina, creare ciò che si vuole.
Rivolta contro il permanente
La “filosofia del Fascismo”, letta nella sua autenticità senza i filtri applicati dalla tradizione anti-fascista, o a-fascista, appare quindi come una rivolta permanente contro la cristallizzazione della vita nelle forme liberali. Nonostante tutto, nonostante lo stesso Fascismo “storico” e il suo essere ideologia-movimento-partito-stato immerso in pieno nel divenire dell’Italia del XX secolo. In questa rivolta, come ha ben evidenziato Scianca, vive il rifiuto nietzschiano della morale decadente, della “morte di Dio”, e la ricerca di una nuova sacralità della vita terrena. Valerio Benedetti, nell’agile volumetto dal titolo Mussolini Il Rivoluzionario, scrive che “in uno dei suoi numerosi incontri a Palazzo Venezia con Yvon De Begnac, Benito Mussolini confidò al suo biografo ufficiale: “oltre il 2000 si parlerà della mia rivoluzione, degli uomini di cultura che mi furono maestri, o che decisero di farsi miei discepoli. Noi siamo stati fondatori di una religione, della religione della socialità, ben diversa, e ben più totale, di quella della libertà“.
L’incomprensione antifascista
Non sorprende, allora, che gran parte della critica antifascista — da Furio Jesi ai filosofi della Scuola di Francoforte — abbia frainteso radicalmente il fenomeno. Concentrandosi sugli aspetti esteriori del Fascismo (la propaganda, il militarismo, la gerarchia), questi autori hanno mancato il suo nucleo vitale: il tentativo consapevole di fondare una nuova ontologia dell’uomo. Furio Jesi vide nel Fascismo una “macchina mitologica” vuota; Adorno e Horkheimer lo lessero come regressione patologica di masse alienate. Ma nessuno di loro comprese davvero il Fascismo: il tentativo volontaristico di ricostruire il senso della vita attraverso disciplina, sacrificio e trascendenza terrena. Alla luce di questa incomprensione ontologica, il Fascismo rimane per loro (tutt’oggi) un mistero irrisolto: perché non era solo un’ideologia politica, ma una visione integrale dell’esistenza. In un’epoca dominata dalla stagnazione morale e dall’appiattimento esistenziale, il richiamo di Mussolini — uomo di sanissima cultura operante — resta vibrante e tutt’altro che insensato: senza una gioventù disposta a sacrificarsi, senza una rivoluzione interiore permanente, nessuna civiltà può sopravvivere.
La fine è l’inizio
Chi vorrebbe raccontare il Fascismo come una scampagnata finita male ci prende in giro e sostiene una narrazione antifascista che è perfettamente compatibile con il mondo globalizzato dal capitalismo finanziario. Mai come oggi (“ben oltre il duemila”) si parla di Mussolini e del Fascismo. Ma la nostalgia e la replica sterile del passato, per assurdo, è tenuta in piedi molto di più dai suoi “oppositori”, gli antifascisti. Chi non vuole cadere in trappola deve capire una cosa fondamentale: il Fascismo è un archetipo metastorico, ma soprattutto la prima manifestazione moderna della volontà europea di oltrepassare la decadenza. Come scrisse Giorgio Locchi, il Fascismo autentico non appartiene definitivamente alla storia trascorsa: è una prefigurazione di ciò che potrà ancora germogliare, quando l’uomo europeo deciderà di riprendere il suo destino nelle mani. La Rivoluzione Fascista, nutrita dalla forza vitalista, dall’eroismo della giovinezza e dal superamento nietzschiano dell’uomo borghese, resta un richiamo essenziale per oltrepassare la modernità crepuscolare. Non un ritorno, ma un inizio: il primo lampo di un mondo nuovo che attende ancora di nascere.
Sergio Filacchioni