Roma, 14 nov – È sicuramente vero che la vittoria di Trump non deve indurre a facili scorciatoie in casa nostra, tipo un trumpismo caricaturale che del tycoon riprenda gli aspetti tipicamente americani, i più chiassosi ma anche i più superficiali. È altresì vero, però, che il messaggio che arriva dagli Usa, ma anche dall’Inghilterra, dalla Francia, dall’Austria e un po’ da ogni angolo d’Europa ci dà almeno una lezione chiara: esistono un proletariato e una classe media “autoctoni” dimenticati dalle élite e che cercano chi si faccia carico delle loro speranze e delle loro sofferenze con toni radicali. E cosa risponde il centrodestra italiano a tale ventata globale? Con l’unione moderata capitanata da Stefano Parisi.
Uno coinvolgente come una cartella esattoriale, che incarna il grigiore di una presunta borghesia “rispettabile” e “anglosassone” che nessuno rispetta più dall’Ottocento e che anche gli anglosassoni hanno mandato a quel paese. E, paradossalmente, Parisi prova pure, in un’intervista al Corriere della Sera, a cavalcare senza tanta convinzione il fenomeno Trump, spiegandoci che “dopo la vittoria di Trump negli Usa è sempre più evidente come la sinistra non sia stata in grado di capire il malessere, l’insicurezza, l’impoverimento, le paure di intere comunità”. Ma, attenzione, “se l’alternativa non può essere Grillo, non può esserlo nemmeno un centrodestra guidato da Salvini con i suoi slogan e le sue ruspe. FI e i moderati sono a questo bivio: imboccando la via indicata dalla Lega ci si schianta, scegliendone un’altra ci si candida a vincere”.
Richiamarsi a Trump per rivendicare ancora la rappresentanza dei fantomatici “moderati” è un colpo che ha del fantascientifico. E ancora: “Io non sono di FI, non ci sono entrato quando mi chiesero di fare il coordinatore e non ci entrerò. E non penso all’ennesimo partitello, ma a qualcosa di più grande. I partiti per come li abbiamo conosciuti sono finiti, la vittoria di Trump insegna. Il processo di ricostruzione dell’area liberale e popolare va fatto oltre FI, perché lì dentro tante persone non ci entrerebbero mai”. Continua, quindi, il gioco di citare Trump per rivendicare l’esatto contrario. Del resto, se i partiti sono finiti è appunto in direzione di figure carismatiche che sappiano intercettare una certa rabbia, non in quella di burocrati liberali senza alcuno spessore politico. E poi, se vuole essere Trump, Parisi si faccia almeno il ciuffo arancione.
Giuliano Lebelli