Roma, 12 giu – Roberto Maroni non ci sta e, dopo aver rispedito al mittente -insieme al collega Zaia- l’ipotesi di accogliere nuovi profughi nelle regioni del Nord, lancia la sua proposta per risolvere il problema degli sbarchi e delle decine di migliaia di profughi.
“La mia proposta è quella di bloccare le partenze: non bombardando i barconi, ma impedendo loro di partire con il blocco navale o meglio ancora con campi profughi in Libia“, spiega il governatore della Lombardia in audizione al comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dei controlli di Schengen. Una azione duplice, quindi: da una parte il blocco navale, dall’altra l’istituzione di centri di accoglienza direttamente sulle coste dalle quali gli immigrati si imbarcano e prendono la via del mare: “il governo italiano deve spingere presso la Ue e l’Onu per organizzarli, così come fu fatto nel 2011 in Tunisia. Se questa non è un’emergenza umanitaria, non so cosa essa sia. Si parla di mezzo milione di persone pronte a partire: è un numero incredibilmente alto, una cifra straordinariamente elevata”.
Il disaccordo fra i due contrapposti governi che al momento si spartiscono Tripolitania e Cirenaica, oltre alle difficoltà (per non dire impossibilità) di comunicazione tra questi e la comunità internazionale può significare, per l’attuazione della proposta, il non dover escludere anche un’opzione militare. A tale osservazione lo stesso Maroni ha risposto non più tardi di tre giorni fa: “Si’, qual e’ il problema? Abbiamo bombardato la Libia senza chiedere il permesso a nessuno. Con i caschi blu siamo stati per anni dappertutto. Adesso li utilizzeremo per una missione umanitaria”.
Secondo l’ex ministro dell’Interno, i campi avrebbero la funzione di “fare le verifiche sui requisiti per la protezione internazionale ed europea e poi ripartire il numero di queste persone nei vari Paesi della Ue: questa è la soluzione. Giuridicamente si può fare, occorre una forte spinta politica”. Una soluzione radicale che mira a scremare chi effettivamente ha i requisiti per essere ospitato in qualità di profugo e, in secondo luogo, ad evitare che in virtù degli accordi di Dublino sia l’Italia da sola a doversi fare carico di tutte le richieste.
Filippo Burla