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Il decreto-rappresaglia di Almirante (che non c’è): il clamoroso errore di Luca Bottura

by Patrizio Podestà
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Roma, 20 mar – È risaputa la scarsa conoscenza storica dei giornalisti, spesso intesa come in malafede. Ennesima riprova, l’intervento sull’edizione odierna della Stampa, a firma Luca Bottura.

Un clamoroso caso di mistificazione della storia

Bottura non è nuovo a questa mistificazione, che a dire il vero, non è nemmeno nata da lui. Ma questo lo vedremo in seguito.
Il giornalista cita semplicemente il manifesto secondo il quale Giorgio Almirante avrebbe firmato un bando antipartigiani. Una narrazione falsa confutata da più sentenze che il tribunale emise dopo la guerra.

L’errore di Luca Bottura

Citando Fasciofobia, a firma di Alberto Busacca, secondo lo storico Mimmo Franzinelli nell’aprile del 1944, Almirante «firma un bando per la fucilazione dei partigiani che non si presentino alle autorità militari della RSI e non consegnino le loro armi. Un documento agghiacciante, rivelatore della disumanità della guerra civile, cui Almirante contribuì».

Questa è l’accusa da cui Bottura parte. Il 27 giugno 1971 vennero pubblicati due articoli sul Manifesto e l’Unità. Secondo entrambi Almirante «fucilava la gente alla schiena per conto dei tedeschi», ed era «un servo dei nazisti». Ad accompagnare gli articoli, ecco il famigerato bando, che cita nuovamente anche Luca Bottura: «Alle ore 24 del 25 maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande […] Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. Vi preghiamo curare immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i comuni vostra Provincia».

La versione di Giorgio Almirante (che smentisce Luca Bottura)

Almirante, sempre citando Busacca, rispose con una doppia querela ai giornali e si spiegò nella sua Autobiografia di un fucilatore. «Quel bando, notissimo, era stato emanato, pubblicamente e notoriamente da Mussolini, Graziani e Pisenti (ministro della Giustizia dell’epoca). […] Attribuirne la firma e la diramazione al sottoscritto significava, credo di non sbagliare, coprirsi di ridicolo; perché il sottoscritto sarebbe stato spedito lui dinanzi ad un plotone di esecuzione, sarebbe stato fucilato e non fucilatore, se si fosse permesso di sostituire la sua firma alle firme di Mussolini, Graziani e Pisenti».

Il processo

Come illustrato nel testo, la sentenza del 18 settembre 1973 assolse i due giornali, precisando però alcune cose. «Va subito stabilito che “firmare” un bando che prevede la pena di morte mediante fucilazione alla schiena, è anzitutto un fatto diverso da quello di curare la propaganda di un determinato bando o manifesto che tale fucilazione prevede».

Il tribunale, sostanzialmente, sosteneva che Almirante aveva firmato un telegramma che ordinava l’affissione del manifesto antipartigiano, ma non era fra gli autori del bando. Dunque l’ex segretario del Msi non è stato un fucilatore. I due quotidiani furono però assolti. In quanto «la non rispondenza della notizia al vero è attribuibile ad incolpevole errore nel quale sono incorsi entrambi gli imputati». Per una serie di motivi, i direttori responsabili dell’Unità e del Manifesto potevano ritenere che il manifesto murale riproducesse un bando di morte firmato Almirante. Entrambi vennero dunque assolti perché il fatto non sussisteva.

Il ricorso

Il tribunale ha comunque riconosciuto che Almirante non ha firmato alcun bando antipartigiano. Gli avvocati dell’Unità, però, ricorsero alla Corte di cassazione. Da sentenza del 20 giugno 1975, il ricorso, venne accolto completamente.

Anche questa volta è interessante leggere la sentenza: «Poiché era stato contestato al Ricchini (direttore dell’Unità) di avere offeso la reputazione dell’Almirante, il tribunale non ritenne raggiunta la prova della verità del fatto. Si deduceva che l’articolo dell’Unità attribuiva ad Almirante, in ragione della sua carica di capo di gabinetto, la responsabilità di aver apposto la sua firma in calce a documenti (diktat) contro i partigiani». Ancora una volta, assoluzione per il giornale ma riconoscimento del fatto che il leader missino non aveva fucilato alla schiena nessuno né aveva emanato alcun bando. L’autore era Rodolfo Graziani, ministro della Difesa nazionale della RSI. Almirante, in quanto capo di gabinetto del ministro Mezzasoma, lo firmò per l’inoltro.

Il precedente scivolone di Luca Bottura

Il giornalista, su Twitter, aveva già accusato il segretario missino di essere un massacratore di partigiani: «Giorgio Almirante fece affiggere in Maremma, nel maggio 1944, quello che i locali chiamavano “il manifesto della morte“, in virtù del quale furono fucilati centinaia di italiani che avevano rifiutato di andare a fare i camerieri di Hitler, tra cui 83 minatori nella sola notte tra il 13 e il 14 giugno».

È chiaro ed evidente il riferimento all’eccidio a Niccioleta. A dirigere l’operazione, però, erano stati gli ufficiali tedeschi del III Polizei-Freiwilligen-Bataillon “Italien”, e a ciò arrivò già un’inchiesta condotta di certo non da fascisti o simpatizzanti, ossia il CLN. Anche la magistratura non accertò mai alcuna responsabilità di Giorgio Almirante nell’eccidio. Busacca nel suo libro cita un pezzo di Pezzino, nel suo libro Storie di guerra civile. Alla voce “Eccidio di Niccioleta”, di 228 pagine, Almirante non è citato nemmeno una volta, così come non è mai citato il bando antipartigiano di cui sopra, citato da Bottura.

Chi fu a introdurre la bufala?

Come già spiegato, Luca Bottura non è il primo a scadere in questo falso storico. Quando, nel 2017, il comune di Grosseto scelse di dedicare una via ad Almirante, l’Anpi si oppone: «firmò La difesa della razza e l’ordine che portò alla strage di Niccioleta». Come sempre, quando si tratta di sostenere falsi storici, l’Anpi è sempre in prima linea. «Almirante è stato complice del più efferato eccidio nazifascista perpetrato in Maremma, ovvero l’eccidio dei minatori alla Niccioleta il 13 giugno 1944 in seguito ad un manifesto affisso in tutti i comuni della provincia di Grosseto, firmato proprio da lui».

Per contestare la scelta del comune di dedicare una via al leader missino – conclude il passo di Busacca – è stata presa la strage più vicina temporalmente e geograficamente al momento e al luogo dell’affissione del bando antipartigiano con la firma di Almirante e si è provato a dare la colpa a lui. Senza ovviamente lo straccio di una prova. Un clamoroso esempio degli abbagli che si prendono quando si tenta di usare la storia per le proprie piccole polemiche politiche.

O forse, più probabilmente, un atto di clamorosa malafede. E a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca: vedremo se, a seguito di questa ennesima figuraccia, Bottura inizierà a variare le sue fonti storiche, oppure se sceglierà di continuare a fare da grancassa a organizzazioni – ormai notoriamente – falsarie.

Patrizio Podestà

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