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Il caso Matteotti, movente politico o delitto affaristico?

by Marco Battistini
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Matteotti

Roma, 09 giu – A un secolo dalla morte la figura di Giacomo Matteotti fa ancora discutere. La questione negli ultimi giorni è infatti tornata sulle prime pagine di media e quotidiani per via delle recenti parole di Giorgia Meloni. “Il 30 maggio 1924 ha pronunciato nell’Aula della Camera il suo ultimo discorso, che gli sarebbe poi costato la vita” ha detto il primo ministro in quello che a tanti è sembrato l’ennesimo (inutile) tentativo istituzionale per farsi “accettare” dalla sinistra. La versione del Mussolini mandante è, per ovvi motivi, quella più conosciuta dal grande pubblico. Ma, secondo gli studiosi, non può essere l’unica. Il passato infatti – e con esso ogni ricerca storica – non può mai considerarsi definitivamente concluso. Al di là delle forzature ideologiche quindi, il caso Matteotti fu un omicidio politico o un delitto affaristico?

Le elezioni del 1924

Durante le elezioni del 6 aprile 1924 la Lista Nazionale riuscì a raggiungere quasi il 65% delle preferenze. Ma nonostante il largo consenso – e al di là di ogni opinione sulla legge Acerbo, votata quando il fascismo poteva schierare solamente 35 deputati su 535 – Mussolini non aveva sfondato a sinistra. A tal proposito vale la pena contestualizzare il periodo storico, tra due conflitti mondiali e,  in Italia, altrettante guerre civili. L’utilizzo della violenza non era prerogativa unilaterale: la stessa campagna elettorale contò 18 morti (e almeno un centinaio di feriti) tra i fascisti.

La nuova legislatura fu inaugurata da un discorso del primo ministro nel quale per “rinvigorire tutte le forze dello Stato e cercare di inserire nella vita della Nazione tutte le forze che alla Nazione vogliono venire” lo stesso capo del governo apriva a popolari e socialisti (“abbiamo il diritto e il dovere di disperdere le ceneri dei vostri e anche dei nostri rancori”). L’intento dello statista romagnolo era quello di riunire intorno al fascio le migliori personalità italiane. Così, temendo per il futuro politico del partito, il 30 maggio prese parola alla Camera Giacomo Matteotti. Come riconosciuto da Renzo De Felice, il segretario del Psu nel suo famoso intervento non avrebbe aspirato tanto a un improbabile invalidamento del voto. Quanto alla creazione di un fermo e intransigente fronte di opposizione al Pnf.

E se Mussolini non fosse il mandante?

Il 10 giugno Matteotti viene rapito e – nelle concitate battute susseguenti al sequestro – ucciso. Grazie a diversi testimoni oculari in pochi giorni si risale agli esecutori materiali. Ovvero un gruppo di fascisti con diversi scheletri nell’armadio, legati in particolar modo alla massoneria. Tra di loro anche Otto Thierschädl, una spia austriaca in rapporti con l’Unione Sovietica. Se la magistratura incaricata del caso cerca fin da subito un’eventuale pista politica, significativo è infatti il comportamento dei comunisti. I quali non cavalcano il delitto. Lo faranno, ma solamente dopo molti anni per “processare” Mussolini.

Tre giorni più tardi Mussolini darà la sua interpretazione del grave avvenimento. “Solo un mio nemico, che da lunghe notti avesse pensato a qualche cosa di diabolico, poteva effettuare questo delitto che oggi ci ripercuote di orrore e ci strappa grida di indignazione”. Una tesi, quella di un omicidio tramato contro la figura del Duce, successivamente sostenuta – tra gli altri – dallo storico Arrigo Petacco.

L’omicidio Matteotti: la pista del delitto affaristico

Ancora seguendo la ricostruzione di De Felice: anche un “semplice” rapimento non avrebbe potuto giovare in alcun modo al capo del fascismo. Anzi, sarebbe stato solamente una causa di evitabili difficoltà. Con il caso Matteotti infatti si chiude ogni possibile discorso su quell’intesa con i socialisti moderati che avrebbe messo all’angolo il fronte comunista: ecco perché la strada che porta al delitto affaristico può essere considerata veritiera.

Facciamo un passo indietro. Tra il 27 aprile e il primo maggio 1924 vengono emanati, in un clima di forti pressioni e con l’assenso del re, due decreti. Uno autorizza il gioco nelle sole stazioni climatiche, l’altro assicura il monopolio delle ricerche petrolifere alla Sinclair Oil. Secondo alcune fonti, proprio Vittorio Emanuele III figurerebbe tra i soci occulti della compagnia petrolifera americana. Negli stessi giorni Matteotti è in viaggio a Londra. Nella capitale inglese il politico di Fratta Polesine incontra figure legate alla Anglo Persian Oil, società esclusa dal discorso petrolifero italiano.

“Le grasse potenze dell’oro e del capitale”

Il deputato entrò quindi in possesso di documenti comprovanti corruzione nell’affare Sinclair Oil? Avrebbe reso pubblico il tutto, verosimilmente nella seconda metà di giugno? E i Savoia (come sostenuto dal figlio Matteo), erano effettivamente implicati? Quella che – forse – è più di un’ipotesi prende forma proprio con le parole del segretario socialista. In un articolo redatto nel mese di maggio, ma pubblicato solamente a luglio su una rivista d’oltremanica, Giacomo Matteotti contesta sì, il caso della Standard Oil. Ma senza però accusare Mussolini. La cui colpa al massimo – sempre secondo lo scritto – sarebbe stata quella di non essersi mai veramente liberato di controversi personaggi. E, aggiunge lo storico Franco Scalzo, il fatto di aver preso le parti del fratello Arnaldo, potenzialmente implicato nel limitrofo filone della case da gioco.

Pochi giorni dopo sul Popolo d’Italia, Lo Spettatore – pseudonimo del Duce – parla (non a caso) di “enormi trust finanziari, le grasse potenze dell’oro e del capitale creditizio che muovono le nazioni con fili invisibili. Ivi si tramano i destini dei popoli. È il regno del supercapitale, che sfugge a ogni legge”. Giovanni Marinelli, accusato di aver organizzato il sequestro insieme agli ambigui Filippo Filippelli e Cesare Rossi, negherà anche in punto di morte ogni coinvolgimento del Duce. Particolare non da poco: come Emilio De Bono, altro implicato nel delitto, firmò l’Ordine del giorno Grandi nella nefasta notte del 25 luglio 1943. Non esattamente il profilo del mussoliniano intransigente.

Losche trame petrolifere

Per approfondire la questione consigliamo caldamente la lettura dello specifico capitolo nel fondamentale libro di Fabrizio Vincenti “A sognare la Repubblica. Bombacci con Mussolini a Salò”. Secondo queste chiavi di lettura, e per quanto sostenuto dalla stessa famiglia, il caso Matteotti si “trasformerebbe” quindi in un delitto affaristico. Un fatto di sangue legato a losche trame su concessioni petrolifere ordite da uomini del capitale della finanza infiltrati nelle gerarchie italiane.

Marco Battistini

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