Roma, 16 nov – “Vorrebbe essere nato per emanare sopra il volgo la superiorità di Scienza e Fede, ma alla prova dei fatti aveva la solita aria del professorino saccente, del medico di base che ti mette a dieta anche se hai gli esami perfetti: così, tanto per rimarcare che il medico è lui”.
Così, sul Foglio, Maurizio Crippa immortalava Ignazio Marino dopo l’ultimo confronto televisivo con gli altri candidati a sindaco di Roma, prima della sua consacrazione a inquilino del Campidoglio. Un’entrata trionfale, quella del chirurgo genovese, sul colle da cui si governa Roma: 42,6% al primo turno e addirittura 63,9% al ballottaggio.
Enrico Mentana ha sibilato velenoso qualche sera fa in tv: “Dopo il disastro di Alemanno avrebbero eletto con quelle percentuali anche me”. Sulla scia dell’apocalittico mandato alemanniano – in cui si è fatto male ma si è comunicato peggio, dando l’impressione di una scarto in negativo, rispetto alla media della politica italiana, che forse non era così marcato – Marino è quindi diventato primo cittadino di una capitale in cui, per la verità, si è sempre aggirato e si aggira tuttora come un marziano.
Ancora recentemente, il Fatto quotidiano ha provato a riciclare questa etichetta – quella di “sindaco marziano” – come titolo di merito. Marino, leggiamo, sarebbe estraneo non alla città, ma alle lobby e ai poteri forti che la governano, da qui la sua caduta in disgrazia. Si tratta di una lettura sin troppo compiacente – tra i poteri forti si citano anche gli spazzini, rei di lasciare volutamente sporca la città per fare dispetto al sindaco moralizzatore… – ma che coglie anche una parte di verità: se Marino avesse santi in paradiso non sarebbe stato scaricato così velocemente dal Pd, che l’ex medico non lo sopporta più e di certo non a causa della sua inefficienza, cosa che nel partito di Renzi non è mai stata un problema. “Basta andare in giro per la città per capire quanti romani non si sentano rispettati dall’attuale amministrazione”, “Roma sta sprofondando nell’incuria e nel degrado”, “è un sindaco inadeguato”, spara a zero David Sassoli, videpresidente del parlamento europeo ed europarlamentare del Pd.
Un marziano nel suo stesso partito, un marziano nella sua stessa città. La vicenda di Tor Sapienza è stata eloquente. La borgata romana ha attratto per una settimana l’attenzione di tutta la nazione, simbolo del distacco tra politica e paese reale. Eppure quello che resta pur sempre il sindaco in carica di quel popolo in lotta, prima si è fatto notare per aver definito “delinquenti” i cittadini esasperati, poi si è deciso per una visita intempestiva in cui ha rischiato di essere linciato, guardandosi attorno spaurito senza capire dove si trovasse.
Forse era distratto dall’assurda vicenda della Panda rossa. Una questione tragicomica che ha visto la poltrona di sindaco della capitale d’Italia traballare a causa di 10 multe da 80 euro (di cui solo due, forse, già saldate). Chiunque, al primo sorgere del dubbio, avrebbe pagato di corsa, magari facendosi accompagnare da qualche fotografo nell’atto di versare gli 800 euro, forse anche meno, risolvendo la vicenda in scioltezza. Marino no, si è incartato con le sue mani, millantando implausibili attacchi hacker e, di nuovo, il bastone fra le ruote dei soliti poteri forti. Il risultato è che gli ha riso dietro mezza Italia e l’altra mezza si è accodata quando lo ha visto intruppare un vigile con la bici e dare poi la colpa al giornalista delle Iene, distante due metri buoni.
Sta di fatto che dopo meno di un anno e mezzo di mandato, la poltrona di Marino è più in bilico che mai. Un anno e mezzo in cui solo un obbiettivo è stato nella testa e nel cuore del sindaco, un solo pensiero ha occupato la sua giunta: la pedonalizzazione di via dei Fori imperiali.
L’insorgere di questa idea nella mente di Marino è a suo modo emblematica. È tutta colpa di una fantomatica “collega chirurga americana” che dopo aver visto 25 anni fa l’area del Foro domandò all’imbarazzato Ignazio: “Come vi è venuto in mente di mettere al centro di questo luogo una striscia di cemento?”.
Eccoli, i veri riferimenti di Marino sindaco: non i cittadini romani, né tanto meno Roma come idea di civiltà, ma i ricchi turisti americani. Evidentemente il neosindaco di Roma ha nostalgia della Roma prefascista in cui le pecore pascolavano fra le rovine, il Colosseo era circondato di baracche, il tutto in un’atmosfera decadente e “pittoresca” tale da far sognare ricchi villani smaniosi di Grand Tour, nella speranza che la visione delle rovine li mettesse nell’animo giusto per allungare qualche dollaro agli sciuscià locali.
Dopo la pedonalizzazione, Marino aveva addirittura in mente lo smantellamento, tant’è che al ministero dei Beni culturali una equipe di giuristi si mise persino a vagliare tutte le possibilità per rimuovere il vincolo del 2002 mentre ingegneri e urbanisti progettavano la distruzione della via. Non se ne è fatto e forse non se ne farà mai niente, per fortuna.
Intanto Roma resta incapace di reggere l’urto di un acquazzone di media entità e il tweet di Marino sulla pulizia dei tombini a pochi giorni dall’elezione ha già superato per triste notorietà la foto di Alemanno che spala la neve. È una bella gara, in effetti. Una gara tra marziani.