Gela, 30 dic – Acqua movimentate in casa Cinque Stelle. A tenere banco, questa volta, è la vicenda di Domenico Messinese, sindaco di Gela eletto al ballottaggio dello scorso giugno sconfiggendo, nella città che fu feudo dell’attuale governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, il sindaco uscente, l’esponente Pd Angelo Fasulo. Fu uno dei classici ribaltoni, come già avvenuto a Parma o Livorno, che fecero salire i pentastellati agli onori delle cronache, cominciando anche a tirare la volata in vista delle imminenti comunali di Milano e, soprattutto, Roma.
Non sono passati che sei mesi e l’amministrazione grillina della città nissena mostra già le prime crepe. Che potrebbero presto trasformarsi in voragini. Sì, perché la maggioranza del consiglio comunale, insieme al locale meet up di Grillo, stanno pensando di sfiduciare il sindaco. I grillini della costa sud hanno mal digerito il ritiro delle deleghe a tre assessori, che secondo Messinese remavano contro l’amministrazione. Una decisione fatta senza passare dalla base: “Non devo rispondere a nessuno se non ai miei elettori”, ha tuonato. A pesare, però, sembra essere soprattutto l’eccessiva vicinanza contestata al primo cittadino nei confronto dell’Eni, che proprio a Gela ha un importante stabilimento petrolchimico finito spesso nelle mire degli ambientalisti. Uno smacco per gli ambasciatori della decrescita (in)felice, che ora meditano vendetta: quattro su cinque consiglieri dei Cinque Stelle sono già pronti a lasciare la maggioranza, che verrebbe così a mancare.
Il terremoto su Gela non è l’unico in ballo per il movimento di Grillo. Il sindaco di Parma è da tempo nel limbo fra espulsione di fatto e paura di perdere la prima città strappata alla “vecchia politica”, a Livorno le fibrillazioni non si contano più, a Quarto addirittura il consiglio rischia di essere sciolto per mafia. Poco più di ventiquattr’ore fa, inoltre, è stata decretata la (discussissima) espulsione della senatrice Serenella Fucksia, accusata di essere troppo vicina al Pd. Con la Fucksia sono già 37 i parlamentari del movimento cacciati dalla chiamata all’internet o passati di loro sponte, armi e bagagli, su approdi meno tormentati da dissidi interni.
Roberto Derta