Il governo Draghi è una buona notizia. Se non altro perché ci siamo parzialmente liberati dai dilettanti al potere, di chi ha inteso guidare il Paese attraverso la non decisione, il rinvio permanente, in ossequio al principio da ministeriale «non fare oggi quello che puoi fare domani». Ovviamente Mario Draghi pone anche tutta una serie di criticità, che Giorgia Meloni ha in buona parte già evidenziato e che anche a sinistra (Tomaso Montanari sul Fatto) hanno avuto modo di notare. E sono curiosi gli attacchi alla leader di Fratelli d’Italia, rea di non voler sostenere il governo di tutti. Curioso che provenga proprio dai «maestrini di democrazia» la critica a chi si oppone a un governo di tutti, nella pretesa assurda di avere una maggioranza senza opposizione.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di marzo 2021
La crisi irreversibile del parlamentarismo
Quello che invece mi sento sottovoce di dire, è che Mario Draghi – cui tutti auguriamo il pieno successo, dato che «right or wrong it’s my country» – ha sbattuto in faccia a tutti noi la crisi del sistema. È la crisi del parlamentarismo, della Costituzione, del partito-Stato che tutto comanda (il Pd) e della burocrazia romana. E tra un anno, al massimo due, saremo punto e daccapo. Mario Draghi andrà al Quirinale e ci ritroveremo indietro alla casella del «via». Le elezioni saranno viste con preoccupazione, il vincolo esterno – auspicato incredibilmente dai più e non solo a sinistra – si farà sentire…