Roma, 4 nov – Come prospettato, le proteste contro la “Buona scuola” non tardano ad arrivare. A sole due settimane dall’inizio delle lezioni nella maggior parte degli istituti scolastici, le città italiane hanno visto migliaia di studenti scendere in piazza a manifestare contro la riforma voluta dal governo Renzi, inscenando cortei e manifestazioni con una partecipazione che non si vedeva dai tempi della riforma Gelmini.
Prendendo in considerazione quest’ultima, da quel momento in poi l’assetto scolastico ha subìto rilevanti modifiche sul piano dei finanziamenti ma, ancor di più, ha influito sulla scelta dell’istituto superiore da parte dello studente. Con il riordino dei licei voluto dall’allora ministro dell’Istruzione, abbiamo assistito in questi anni ad un drastico calo degli iscritti (circa il 40%) nei Licei Classici, con una vera e propria fuga dalle lingue considerate “morte”, quali il latino ed il greco (situazione che potrebbe sembrare inverosimile se si pensa che settant’anni fa, quando il ministro dell’Istruzione era Giovanni Gentile, gli stessi Licei forgiavano uomini di grandissimo spessore culturale e umano, dando vita ad una vera e propria tradizione pluridecennale).
Che questo prosieguo di interventi legislativi influisca in alcune falle del sistema dell’istruzione, e dunque incorra in una responsabilità oggettiva, non v’è alcun dubbio: basti pensare infatti che in Italia si registra un tasso di analfabetismo funzionale del 47%, una percentuale talmente alta da far balzare la nostra Nazione ai vertici della classifica stilata dall’Ocse.
Ancora più preoccupante, è il graduale divario che va formandosi tra istituti ritenuti “eccellenti” e istituti di fascia inferiore: con la ripartizione disomogenea dei finanziamenti, infatti, si rischierebbe di incorrere in una situazione paradossale, in cui le famiglie benestanti potrebbero beneficiare dei fondi ministeriali, a scapito delle famiglie più disagiate.
Un altro passo verso la trasformazione dell’istituzione scolastica pubblica che, da servizio dello Stato, si trasforma in un servizio per lo Stato, equiparandola di fatto alle scuole private, e quindi ad enti che vendono il loro servizio formativo a veri e propri clienti (le famiglie, in questo caso). “Un punto di partenza”, per dirla alla Giannini, che mira ormai solo a formare manager e imprenditori e non più uomini.
Marco Fortunato