Roma, 5 apr – Quando era anti-berlusconiano, la sinistra lo aveva idolatrato a dismisura. Tant’è che poi, quando aveva cominciato a criticare l’immigrazione con toni sempre più polemici, lo aveva guardato con imbarazzo, come si fa con il vecchio nonno diventato matto con l’età. Il politologo Giovanni Sartori, tuttavia, ha dato il meglio di sé proprio nel periodo finale della sua vita, terminata ieri all’età di 92 anni.
Sartori era una e propria autorità accademica: aveva insegnato per molti anni in America e i suoi libri sulla teoria della democrazia sono dei classici della politologia. Nato a Firenze il 13 maggio del 1924, aveva evitato di partecipare alla guerra nascondendosi ed eludendo i bandi di leva. Laureatosi in Scienze politiche e sociali a Firenze nel 1946, nel 1968 aveva contrastato la idee della contestazione e, alla fine, per anticomunismo, si era trasferito negli States, dove aveva acquisito fama mondiale, almeno fra gli addetti ai lavori. Ma, per il grande pubblico, la sua faccia cominciò a essere nota in seguito alle sue intemerate contro Berlusconi, il cui ventennio era sprezzantemente definito “il sultanato”. Divenne un idolo, per le folle girotondine che riempivano i palazzetti leggendo la Costituzione. Peccato che, contestualmente, Sartori cominciò a prendere di petto l’immigrazione con una serie di editoriali sul Corriere della Sera. Lo fece da posizioni di “liberale conservatore”, ma con argomenti spesso condivisibili.
Già nel 2009 sfidava il politicamente corretto affermando che “chi non gradisce lo straniero che sente estraneo è uno ‘xenofobo’, mentre chi lo gradisce è uno ‘xenofilo’. E che non c’è intrinsecamente niente di male in nessuna delle due reazioni”. Nel 2010 denunciava “il caos multiculturale, l’ammucchiata di ogni sorta di estranei che sono anche estranei tra di loro”, spiegando che “l’uomo è un animale sociale che vive raggruppato in tribù, in villaggi, in città. Quindi tutti noi abbiamo un vicino, dei vicini; e tutti noi cerchiamo un ‘buon vicinato’ costituito da persone che sono un po’ come noi, o comunque non troppo diverse da noi. Il troppo diverso, l’estraneo, è scomodo e ci fa anche paura”. L’anno successivo fu uno dei pochi a intravedere il pericolo dietro le “primavere arabe”, allora in piena fioritura per la gioia di gran parte degli osservatori occidentali. Ma Sartori faceva notare che “in quasi tutta l’Africa e dintorni, seppure con importanti eccezioni, il potere è oggi dei militari, e sono i militari che bloccano l’Islam. In Siria Assad, padre dell’attuale presidente, sterminò i Fratelli Musulmani a cannonate. In Iraq la feroce dittatura di Saddam Hussein fu laica perché Saddam estromise l’Islam dal suo sistema di potere. In Egitto Mubarak, che era un dittatore moderato, pur sempre controllava strettamente i Fratelli Musulmani di casa sua. […] Pertanto chi proclama, in Occidente, che le ‘rivoluzioni arabe hanno seppellito l’islamismo’ parla a vanvera con poca conoscenza di causa”.
L’anno successivo propose, per gli immigrati, la “concessione della residenza permanente trasferibile ai figli, ma pur sempre revocabile”, con espulsione immediata in caso di reato commesso. Ma furono soprattutto i suoi attacchi al “magistero” di Cecile Kyenge che crearono scompiglio. Scriveva nel giugno 2013: “Nata in Congo, si è laureata in Italia in medicina e si è specializzata in oculistica. Cosa ne sa di ‘integrazione’, di ius soli e correlativamente di ius sanguinis?”. E alle parole di costei, secondo cui l’Italia sarebbe un Paese meticcio, replicava: “Se lo Stato italiano le dà i soldi si compri un dizionarietto, e scoprirà che meticcio significa persona nata da genitore di razze (etnie) diverse. Per esempio il Brasile è un Paese molto meticcio. Ma l’Italia proprio no. La saggezza contadina insegnava ‘moglie e buoi dei paesi tuoi’. E oggi, da noi, i matrimoni misti sono in genere ferocemente osteggiati proprio dagli islamici”. Per questo articolo, peraltro, scoppiò una sorta di caso diplomatico con la redazione del Corsera: invece che come editoriale, cioè a sinistra e in apertura di giornale, il pezzo fu pubblicato di spalla, ossia a destra: sempre in prima pagina. Dettagli, ma lui non la prese bene: “Se mi avessero detto che lo avrebbero pubblicato in quel modo, avrei ritirato l’articolo, com’è previsto dagli accordi. Al Corriere si sono comportati in modo scorretto e offensivo, mi hanno fatto una cosa che mi ha indignato senza nemmeno dirmelo”. Il mese successivo, in ogni caso, tornava ad attaccare la Kyenge, prendendosela stavolta con un altro idolo della sinistra: “Un’altra raccomandata a quanto pare anch’essa di ferro (da chi?) è la presidente della Camera Boldrini. In questo caso le credenziali sono davvero irrisorie. Molta sicumera, molto presenzialismo femminista ma scarsa correttezza e anche presenza nel mestiere che dovrebbe fare”. Parole coraggiose, pronunciate da uno che, nella sua vita, di coraggio non è che ne avesse mostrato molto. Meglio tardi che mai.
Adriano Scianca