Roma, 6 nov – Grande evento che accade, binarismo sempliciotto che trovi. Figurarsi se il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca poteva sfuggire a questa logica primitiva, ormai dominante non solo nei grandi dibattiti mainstream, ma con ancora maggior enfasi anche nelle “analisi” che si vorrebbero politicamente scorrette. Abbiamo così letto in queste ore di un Trump che rappresenterebbe “la vittoria del popolo contro le élite”, o anche “la vittoria del multipolarismo”, per stendere un velo pietoso su chi ha addirittura voluto vedervi un difensore dell’“umano” contro le “entità postumane” provenienti da “Cthulhu” (sì, è stato detto realmente).
Fenomeno Trump: popolo o élite?
Cerchiamo di capirci di più. Vittoria del popolo contro le élite? Tanto per cominciare: quale popolo? Ma come, dopo anni di bordate contro la democrazia, di meme sulle pecore alle urne, di “se davvero contasse non ce lo farebbero fare”, e poi basta che vinca il tizio che ci sta simpatico e crolla tutto l’armamentario critico, la rivoluzione si fa così, andando nella cabina e tracciando una crocetta? Il temibile Deep state che può tutto, che fa e disfa, che può fare piovere a comando e azionare killer manciuriani si è fatto beffare dalla casalinga del Delaware che non vuole i bagni gender neutral per suo figlio? E poi le elezioni americane non erano il trionfo dei brogli, del voto postale, dell’assenza di controlli? Come funziona, se vince quello che vogliamo noi sono regolari e se vincono gli altri hanno rubato? Troppo comodo. E poi: quali élite? Trump è un milionario che per gran parte della sua vita è stato legato all’establishment, anche democratico, anche impresentabile (do you know Epstein?), il suo principale sponsor è Elon Musk, ricchissimo, padrone di uno dei maggiori social esistenti, che gioca a fare il pazzo e quello fuori dagli schemi, ma è legato a doppia mandata con il Pentagono, che gli ha lasciato quanto meno mano libera. Con Musk, mezza Silicon Valley si è dimostrata apertamente trumpiana o quanto meno dialogante: oltre al filone accelerazionista che fa direttamente riferimento al vice Vance (Horowitz, Andreessen etc), ricordiamo che Jeff Bezos ha impedito al Washington Post, di sua proprietà, di schierarsi apertamente con la Harris, mentre Sundar Pichai e Tim Cook, capi di Google e Apple, hanno avuto nei giorni scorsi cordiali telefonate con Trump. In queste ore, del resto, abbiamo visto i mercati esplodere di gioia. E anche in Israele avranno tirato un sospiro di sollievo. Quindi, alla fine, chi sono queste élite anti trumpiane, visto che di loro non fanno parte il Pentagono, Big Tech, i mercati e il governo israeliano? I corsivisti liberal del New York Times e i divi di Hollywood? A quanto pare a prendere sul serio questi ambienti siamo rimasti solo noi.
L’incomprensibile America
Questo, beninteso, non significa che, siccome “le élite” (o una parte di esse) stanno con Trump, allora lui diventa necessariamente “cattivo”. Significa solo che il binarismo troglodita non funziona, che non esiste una élite che si muove in blocco. E che lo slogan “popolo contro le élite” è un brillante motto propagandistico per autorappresentarsi, ma un disastroso paradigma analitico. Certo, quella parte di élite che ha comunque sostenuto i democratici è particolarmente radicata nel mondo del giornalismo, dell’intellighenzia, dello spettacolo, sono quelli che costruiscono una buona fetta del racconto su come va il mondo. Ed è vero, nonostante tutte le obiezioni mosse sin qui, che questo racconto risulta effettivamente indigesto a parti crescenti della popolazione. Accade ormai quasi ovunque: l’uomo comune si è stufato di sentirsi dire al tg che l’immigrazione è un’opportunità da gente che vive in quartieri dove l’immigrazione non ce n’è. Questo malcontento è reale, ma occhio a leggere ogni evento con le stesse lenti. L’America resta, ancora oggi, una terra profondamente diversa da noi, per larghi tratti incomprensibile, preda di logiche tutte sue. Basti pensare al fondamentale apporto che in uno stato chiave, la Pennsylvania, hanno dato gli amish, tradizionalmente vocati all’astensionismo, ma quest’anno accorsi in massa alle urne in favore di Trump per via delle misure anti agricoltura della Harris. Si tratta di dinamiche davvero sui generis e usando la categoria della working class bianca contro le élite progressiste per spiegare quello che accade a Bergamo così come a Philadelphia non riusciamo a comprenderle del tutto.
Una possibilità per l’Europa
Le categorie della “geopolitica”, o di quel che oggi si spaccia come tale, ci aiutano ancora meno. Trump, per esempio, è quanto meno tiepido nei confronti delle ragioni dell’Ucraina, ma è anche entusiasticamente sbilanciato nei confronti di Israele. Come lo si inquadra, dunque, nel manicheismo Bene vs Male? L’India, malgrado i Brics, lo sostiene. L’Iran, secondo indiscrezioni ricorrenti, avrebbe invece allacciato contatti con l’establishment democratico. Insomma, anche la categoria del “multipolarismo” ci porta in un vicolo cieco. Detto quanto non funziona per interpretare il fenomeno Trump, cosa si può invece dire di sensato? Sicuramente che la nuova amministrazione farà la guerra all’Europa su tre fronti: dazi, Ucraina, Israele. Questi fattori di criticità, uniti ai modi da buzzurro di Trump e alla cattiva stampa di cui gode, utili per rimuovere complessi di sudditanza ancora fortissimamente presenti nelle cancellerie europee, potranno portare allo scatto continentale che aspettiamo? Nulla ovviamente è già scritto, ma la contingenza appare particolarmente propizia. Se non verrà sfruttata ora, il treno potrebbe ripassare tra molto, molto tempo. A tal proposito, un pensiero sull’Italia. Per la Meloni si aprono partite cruciali. Finora la premier si è mossa bene ogni volta che ha agito con istinto politico autonomo, immediato, mentre il governo ha arrancato ogni volta che ha inteso, ideologicamente, “fare qualcosa di destra”, combinando solo casini. Un ruolo quanto mai negativo in tal senso lo hanno giocato gli “intellettuali di destra” vecchi e nuovi. Con Trump al potere, la coorte di “consiglieri” e di “ammanicati” con Washington sgomiterà come non mai. La Meloni dovrebbe ascoltarli attentamente. E fare sempre l’opposto.
Adriano Scianca