Roma, 12 giu – Non accenna, nonostante il blocco dei licenziamenti, la corsa della disoccupazione. Nel primo trimestre del 2021, rileva l’Istat nella sua periodica analisi sul mercato del lavoro, è salita al 10,4%. Peggiorando su base sia congiunturale che tendenziale: è aumento di mezzo punto rispetto all’ultimo trimestre del 2020 e dell’1,2% rispetto allo stesso periodo sempre dello scorso anno. E’ il dato più alto dall’autunno del 2018 e conferma sostanzialmente l’incremento dei senza lavoro che in un anno sfiora il milione di unità.
Mentre Banca d’Italia stima una crescita che (nell’ipotesi più ottimistica) dovrebbe riportare i livelli produttivi a livelli pre-pandemia entro la fine del 2022, questa ripresa non sembra ancora concretizzarsi dal lato del lavoro. E’ la stessa via Nazionale, infatti, a parlare di recupero delle ore lavorate che non si verificherà prima del 2023.
Gli inattivi “rientrano” nella disoccupazione
Le statistiche, da parte loro, tracciano un quadro a tinte abbastanza fosche. Buona parte dei nuovi entranti nel tasso di disoccupazione provengono infatti dai ranghi degli inattivi, vale a dire coloro che – principalmente a causa dei lockdown – non erano alla ricerca di impiego perché scoraggiati dal poterlo trovare. Ora, con la progressiva fine dei confinamenti, i disoccupati tornano ad essere tali a tutti gli effetti. Rientrando così nei numeri “ufficiali”.
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Prova ne sia la dinamica della disoccupazione giovanile, che evidenzia con maggiore intensità lo stato di coloro che sono alla ricerca di un primo contratto. La percentuale dei senza lavoro nella classe 15-34 anni sfiora il 21% (+3% rispetto al primo trimestre 2020), che sale al 35,1% (+4,9%) per chi ha tra i 15 e i 24 anni. Un divario generazionale che “si amplia ulteriormente”, commenta l’Istat, regredendo anch’esso indietro di almeno un triennio.
Filippo Burla