Roma, 5 ott – Minuto ottantatre di un Roma-Venezia qualsiasi. O forse no. Dopo esser passati in svantaggio sul finire della prima frazione – e aver rischiato di affondare più volte – i giallorossi, grazie alla rete bella e fortunata di Bryan Cristante, erano già riusciti ad impattare. Calcio d’angolo dalla destra, pallone in mezzo all’area, zuccata decisa e sfera in fondo al sacco. Partita ribaltata, magari immeritatamente, ma non è questo il punto. Sì, perché dentro alla tardelliana esultanza di Niccolò Pisilli, quasi incredula ma altamente espressiva, c’è un mondo intero: quello – ancora una volta – del romanismo.
Dai pulcini giallorossi all’Europa dei grandi
C’è da dire che per il classe 2004 – vent’anni appena compiuti – non è stato il primo timbro. Dopo la lunga trafila nel settore giovanile romanista, dai pulcini alla Primavera, il ragazzo di Casal Palocco aveva già segnato con i grandi. Proprio il giorno dell’esordio: 14 dicembre 2023, ultima gara della fase a gironi di Europa League. Roma-Sheriff è indirizzata da Lukaku e Belotti, quando Josè Mourinho pesca dalla panchina una manciata di ragazzi a cui consegnare il ricordo di una serata per loro comunque indimenticabile.
Allo scadere Niccolò Pisilli trova il destro giusto: mani nei capelli e lacrime ad inumidire il viso. Pochi mesi dopo, piangerà di nuovo. Ma per la causa opposta, ovvero la netta sconfitta in Finale Scudetto Primavera. Reazione comprensibile quando si porta sulla pelle l’onere e l’onore di rappresentare la squadra del cuore.
L’espressione ciclica del romanismo
La storia del calcio, italiano e mondiale, è costellata di storie simili, lo sappiamo. Ma quando si parla in particolare della Roma il discorso sembra diverso. Romani, romanisti, quindi calciatori, magari capitani, bandiere, simboli. Quello che da altre parti è sporadico – quasi casuale – qui, sulla sponda giallorossa del Tevere, torna ciclicamente. Bruno Conti, Di Bartolomei, Giannini, Totti e De Rossi. Solo per fare i nomi più conosciuti.
Penultimo, ma solo cronologicamente, il caso di Edoardo Bove. Intenso e aggressivo come pochi, per attaccamento alla causa avrebbe potuto continuare sullo stesso solco delle divinità capitoline di cui sopra. Ma in estate le logiche del calcio moderno hanno (purtroppo) scelto diversamente.
Non siamo ovviamente i primi e non saremo di certo gli ultimi che proveranno a spiegare cos’è il romanismo. Chi scrive, da esterno, ne rimane affascinato ogni volta che la storia della pedata nelle sue curve spiraliche ripropone l’argomento. Come domenica scorsa, appunto. Ci hanno provato giornalisti, tifosi, diretti interessati addetti ai lavori e il rischio è quello di cadere nelle solite frasi fatte, impacchettate e confezionate.
“Io voglio essere un giocatore della Roma!”
Lasciamo quindi parlare chi – per dirla con la Curva Sud – ha vissuto nella città eterna con “gli occhi inebriati di giallorosso, l’anima pervasa dal romanismo”. Si esprimeva così José Mourinho al termine di quel famoso Roma-Sheriff: «sono ragazzi che andavano a Trigoria per l’autografo, che venivano qua a vedere la partita. Vivono la cosa con emozione diversa. Pisilli segna sotto la curva e piange, arriva nello spogliatoio e piange, sono dovuto scappare se no piango anch’io. I ragazzi vivono questo. Non solo quella cosa io voglio diventare giocatore, io voglio fare soldi, io voglio cambiare la vita. Tante volte anche la vita della famiglia».
È piuttosto un «io voglio essere un giocatore della Roma!». L’abissale differenza tra il ricoprirsi d’oro ad ogni costo e il ben più alto volersi invece coronare – anche – d’alloro. Elogio di Niccolò Pisilli (e dei suoi predecessori): quindi dell’identità, dell’appartenenza, del romanismo. Ovvero di uno dei volti migliori del calcio italiano.
Marco Battistini