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Antonio Di Natale, il miglior attaccante della provincia italiana

by Marco Battistini
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Roma, 13 ott – Sette reti in meno di Altafini e Meazza, ma quattro in più del Divin Codino. Duecentonove timbri, sesto posto assoluto nella classifica dei marcatori di Serie A. L’unico ancora in attività che a stretto giro di posta avrebbe potuto agganciarlo – ovvero Immobile – è volato in Turchia. No, non stiamo dando i numeri. O meglio, per parlare di Antonio Di Natale non possiamo che partire dalla fredda statistica. Dal nudo dato – a queste latitudini rimane pur sempre il miglior marcatore nella seconda decade del ventunesimo secolo – alle ragioni della testa e del cuore il passo è più breve di quanto possa sembrare. Ma andiamo con ordine.

Da Napoli ad Empoli

Si scrive Antonio Di Natale, si legge il numero dieci dell’Udinese. Anche se può sembrare strano c’è un corposo prima rispetto all’esperienza friulana, solamente (si fa per dire) seconda metà della carriera di questo attaccante nato a Napoli il 13 ottobre 1977.

Totò lascia ben presto l’antica Partenope, a tredici anni – notato da un osservatore – prende la strada per Empoli. In Toscana esordisce nel campionato cadetto, un unico gettone prima dei prestiti in terza serie a Zola Predosa, Varese e Viareggio. Nel ‘99 torna alla base, prende confidenza con la categoria per esplodere durante la stagione 2001/02. In un reparto avanzato di tutto rispetto – Cappellini, Maccarone, Rocchi, Tavano – il giovane attaccante esterno aggiorna il curriculum con sedici reti: la macchina da gol di mister Baldini centra così il ritorno in Serie A.

Antonio Di Natale: l’attaccante venuto dall’ombra

Tecnico e rapido – nel breve riusciva a raggiungere i 27 chilometri orari – anche nella massima categoria Antonio Di Natale mette in mostra il repertorio personale. Segna da fermo, in acrobazia, di testa, dalla distanza, con entrambi i piedi. Altri diciotti bersagli in due anni valgono l’esordio in nazionale e il trasferimento all’Udinese (estate 2004), allora ospite fissa delle competizioni europee.

Sette, otto, undici, diciassette. Come il vino, il nostro migliora invecchiando – in particolar modo a livello realizzativo. Anche perché nel frattempo supera la soglia delle trenta primavere: nel marzo 2009 però, durante una gara con la Nazionale, il ginocchio fa crack. 

Eccoci al 2009/10. Ovvero quando una felice intuizione di Luciano Spalletti lo porta stabilmente al centro dell’area. L’atipico centravanti di centosettanta centimetri dimostra di saperci fare anche senza physique du rôle: nei successivi quarantotto mesi segnerà – senza contare le coppe – qualcosa come centotre reti. Un bomber proveniente dall’ombra (a striker from the shadows) lo definisce in quel periodo il Wall Street Journal.

La bandiera dell’Udinese

Due volte – consecutive – capocannoniere della Serie A (2009/10 e 2010/11), sale sul podio di questa speciale classifica sia nel 2012 che nel 2013. Sono gli anni in cui lo cercano le grandi del calcio italiano, ma il capitano bianconero ringrazia e rifiuta il corteggiamento di Juventus e Milan: “non lascio Udine neanche per il Real Madrid” asserirà in una conferenza stampa di mezza estate. Bandiera d’altri tempi, doppia scelta di cuore verso tutto l’ambiente friulano e nei confronti della propria famiglia. Avrebbe detto di no anche al “suo” Napoli.

Dal 2006 al 2010 è presenza fissa in azzurro. Proprio nel contesto della Nazionale pagherà colpe non sue dopo la fallimentare spedizione sudafricana. Inspiegabilmente fuori per un biennio pieno, ritorna nel giro per la medaglia d’argento di Euro 2012. Dove segnerà subito, nella gara inaugurale, ai futuri campioni continentali della Spagna. Il 15 maggio 2016 l’ultima esibizione. Prima di appendere gli scarpini al chiodo il tempo – manco a dirlo – per l’ultimo gol. 

Marco Battistini

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