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Annibale Frossi, un paio di occhiali e l’oro di Berlino

by Marco Battistini
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Roma, 15 ago – Era un’ottima ala offensiva, ma sposò integralmente le tesi del difensivismo. Il corso di laurea in giurisprudenza gli permise di partecipare alle Olimpiadi del 1936, ovvero di farci vincere l’oro. L’unico del pallone italiano. Atleta, quadro aziendale, allenatore, giornalista, opinionista: è stato tutto questo Annibale Frossi. E, forse tanto altro. Un Primato Calcistico che di sicuro vale la pena di essere raccontato.

Le giocate di Pié Veloce

Quello che per Achille è stato il tallone, per il nostro sarebbero potuti essere gli occhi. La miopia è forte, risolvibile però con una paio di lenti graduate, una robusta montatura e l’elastico dietro la nuca. Certo, gli occhiali l’avrebbero limitato nelle acrobazie e nel gioco aereo. Tuttavia Annibale Frossi sapeva come farsi valere nelle trame basse. Soprannominato Pié Veloce già dai tempi dell’oratorio si fa conoscere con la maglia dell’Udinese, in particolar modo nel campionato di Serie B 1930/31. Annata che avrebbe dovuto disputare in quel di Padova: ma tra i biancoscudati e il giovane si mise di mezzo la madre, decisa a far conseguire al figlio la maturità classica. Tutto rimandato all’estate del ‘32.

Esterno destro d’attacco con un passo da centometrista – pallone nei piedi, copriva tale distanza in 11 secondi e 4 decimi – sapeva far male ai portieri avversari in diverse maniere. Partendo da lontano, provandoci da fuori o sfruttando lo spiccato senso del gol in mezzo all’area: “un opportunista della più bell’acqua” usando le parole di Vittorio Pozzo. Con gli euganei conquista la promozione nella massima competizione nazionale. In tutto tre stagioni, non consecutive per via della parentesi di Bari, dove l’occhialuto svolge il servizio di leva.

 Annibale Frossi: le Olimpiadi del 1936

Il dovere imperiale chiama, a metà anni ‘30 è pronto per l’Abissinia. Già a Napoli sulla nave Saturnia, Adelchi Serena – podestà dell’Aquila e futuro ministro dei lavori pubblici – capisce però che il posto di Annibale Frossi non può essere sul campo di battaglia, bensì su quello da calcio. Il gerarca lo spedisce quindi nella squadra del capoluogo abruzzese. Scelta provvidenziale, perché nelle file rossoblù lo nota proprio il commissario tecnico.

Eccoci a Berlino, agosto 1936. Il velocissimo avanti decide l’esordio con gli Stati Uniti e propizia con una tripletta il largo successo ai quarti (8-0 al Giappone). In semifinale una sua rete elimina anche la Norvegia. Poi, esattamente ottantotto anni fa, nello Stadio Olimpico della capitale tedesca, la doppietta che regola l’Austria e consegna all’Italia l’unico oro olimpico della storia azzurra. Al ritorno in patria, nel contesto del ricevimento ufficiale, dicono abbia fatta storcere il naso a Mussolini: non ci sono prove in merito. Al contrario esistono un paio di foto che lo ritraggono – schierato insieme agli altri calciatori della Nazionale – nel saluto romano.

Gli scudetti con l’Ambrosiana

Lo cerca con insistenza la Lucchese ma, nell’ennesima giravolta – sliding doors direbbero gli amanti della lingua d’Albione – della sua vita, finisce all’Ambrosiana. Qui gioca insieme a Giuseppe Meazza, vincendo nelle sei stagioni nerazzurre due scudetti e una Coppa Italia. A Milano riesce pure a laurearsi, mantenendo così una vecchia promessa fatta alla madre.

Correrà ancora, con Pro Patria e Como, per poi intraprendere – dopo una breve parentesi lavorativa all’Alfa Romeo – la via della panchina. Dottor Sottile (altro soprannome) si rivelò convinto allenatore difensivista, arrivando a teorizzare che l’ottimale preparazione tecnico/tattica da parte delle due squadre porterebbe allo 0-0, risultato perfetto. Contrario alle comparsate televisive, l’intellettuale del dribbling continuerà a scrivere. Sempre di calcio, ovviamente.

Marco Battistini

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