Roma, 9 nov – «Ho dato a Del Piero il soprannome Pinturicchio: per l’estetica, per il modo di giocare. I suoi gol sono sempre eccellenti». Correva l’estate del 1995 quando Gianni Agnelli diede l’investitura ufficiale – a suo modo, in quello che all’epoca suonò come un complimento, ma fino a un certo punto (il confronto va pur sempre fatto con il “Raffaello” attribuito a Roberto Baggio) – al giovane avanti bianconero chiamato a compiere il definitivo salto di qualità. E a non far rimpiangere proprio il Divin Codino, passato in quelle settimane al Milan.
Il numero dieci
Fisici minuti e grandi abilità: artistiche uno, calcistiche l’altro. Paragonato al “piccolo pintor”, artista ottocentesco della scuola umbra, Del Piero – nato a Conegliano esattamente mezzo secolo fa – alla terza stagione in bianconero venne in un certo senso responsabilizzato a tutto tondo. Sulle sue spalle, nella prima annata dei numeri fissi, il peso della dieci juventina. Di un passato scritto da Sivori, Platini e dallo stesso Baggio.
La storia d’amore con la Vecchia Signora era appena agli inizi, un legame che (dal 1993) sarebbe durato fino al 13 maggio 2012, giorno della sua ultima apparizione con la maglia più titolata d’Italia. Tecnicamente seconda punta, segnava quanto un centravanti. Battezzato come esterno d’attacco, poteva muoversi all’occasione anche sulla trequarti. Un attaccante che – tra finte e controfinte – ad ogni modo ha sempre giocato per la squadra. Dal 2001 indosserà anche la fascia di capitano: da quelle parti sono ancora suoi i primati di presenze e reti (705 gettoni, 290 timbri).
Il gol alla Del Piero
Specialista dei calci da fermo, dal vertice sinistro delle aree di rigore il suo destro – spesso e volentieri – sapeva trasformarsi in sentenza. In quel caldo pomeriggio estivo di Villar Perosa tutti conoscevano il potenziale del ragazzo. Il gol alla Del Piero, ad esempio, era già stato inventato. Una data esatta, precisa come una classica esecuzione a giro. 18 settembre 1994, stadio San Paolo di Napoli. “Un gol bello, non straordinario” ma che farà giurisprudenza.
Per la pura espressione estetica rimandiamo quindi il lettore alla pennellata – al volo d’esterno – contro la Fiorentina. O ai numerosi colpi di tacco sparsi lungo lo Stivale (nel derby, al Piacenza) e nelle più estese distanze del continente – leggere alla voce finale di Champions League 1997. Iconica è rimasta la punizione di San Siro con annessa linguaccia agli eterni rivali dell’Inter.
Campione del mondo
Dai tantissimi trofei bianconeri alla Vittoria azzurra. In nazionale dal 1995 al 2008, ha rappresentato la nostra bandiera in quattro europei e in tre competizioni mondiali. Con la macchia delle reti sbagliate nell’ultimo atto di Euro 2000 e – dall’altra parte – la medaglia sul petto per la trionfale spedizione tedesca del 2006. Suo il gol – alla Del Piero, ovviamente – che in semifinale ha chiuso i conti in Italia-Germania. Sua l’esecuzione del quarto, impeccabile, rigore trasformato nell’indimenticabile notte del 9 luglio.
Un racconto di altre 91 presenze e 27 reti: quarto in graduatoria, al pari di Baggio. Tra i periodi peggiori della carriera di Pinturicchio il grave infortunio del novembre ‘98: lo tenne lontano dal campo per quasi un anno solare, costringendolo a lunga ripresa (sempre Agnelli nel 2000: «adesso lo chiamerei Godot, e voi sapete bene il perché»). È stato tra i più forti giocatori della generazione a cavallo dei due millenni. E senza quel maledetto incidente al ginocchio – ne siamo certi – sarebbe stato un qualcosa di ancora più grande…
Marco Battistini