Budapest, 3 ott – Niente quorum, ma un deciso messaggio all’Europa. In Ungheria il referendum, lanciato dal governo nazional-conservatore di Viktor Orban contro la politica di redistribuzione dei richiedenti asilo fra i paesi europei, non raggiunge il minimo dei 50% degli aventi diritto (ad urne chiuse si erano recati ai seggi meno del 45% degli elettori), azzoppando così in parte il pugno duro del premier contro l’Unione Europea.
Non è però una débacle, dato che in ogni caso l’esito del referendum non avrebbe avuto valore giuridico vincolante. Orban aveva promesso una legge di conseguenza all’esito favorevole alla risposta negativa al quesito, legge che non è comunque detto non arrivi. Nonostante il mancato raggiungimento del minimo di votanti necessario, infatti, è chiara l’indicazione che emerge dallo spoglio: il 95% degli ungheresi ha votato “No”, dando un segnale politico fortissimo contro l’invasione degli immigrati e di fronte alla quale l’Ue ha mostrato una forte incapacità di gestione del fenomeno.
Più che sui rapporti con Bruxelles, contro cui Orban sembra voler tenere sempre alta la guardia, il risultato del referendum rischia semmai di avere conseguenze politiche interne. Il premier puntava forte sulla consultazione, il cui parziale fallimento mette sotto pressione l’esecutivo. Critiche arrivano dalla sinistra socialdemocratica, estromessa dalla guida del paese da oltre 6 anni e in continuo calo di consensi, che chiede un ammorbidimento della linea, sia dai nazionalisti di Jobbik – in continua ascesa nei consensi – che invece spingono per una politica ancora più ferma nei confronti sia dei sedicenti rifugiati che delle imposizioni comunitarie.
Nicola Mattei