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In Ucraina ci sono 13 bio-laboratori Usa. Possibile una connessione con epidemie e Covid-19?

by La Redazione
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Kiev, 6 mag – A confronto con le statistiche di altri paesi, la pandemia Covid-19 sta avendo, in Ucraina, un impatto relativamente lieve: la situazione, aggiornata al 3 maggio, prospetta 11.913 contagiati, 288 deceduti, 1.547 guariti. Nonostante questo quadro poco drammatico, l’opinione pubblica del paese è estremamente preoccupata da diversi fattori. A partire dal 2014 sono state promosse alla carica di ministro della Sanità delle figure professionalmente poco adeguate (ad esempio, la cittadina statunitense d’origine ucraina U. Suprun, la cui attività è stata rivolta di fatto solo a potenziare i cartelli farmaceutici d’oltreoceano nel paese slavo): queste figure non hanno saputo creare un sistema ed infrastrutture in grado di rispondere ad urgenze come quella del coronavirus. 

I laboratori virologici Usa in Ucraina

Un’acutizzazione del contagio potrebbe, quindi, causare conseguenze difficilmente prevedibili. Questo rischio viene ulteriormente aggravato dalla presenza, in Ucraina, di almeno 13 laboratori virologici militari statunitensi (il numero assolutamente più alto tra tutte le repubbliche dell’ex Unione Sovietica finite sotto il controllo di Washington): 4 a Kiev, 3 a Leopoli, 1 rispettivamente a Charkiv, Uzhgorod, Ternopil’, Vinnica, Odessa e Kherson. Questi laboratori, dove sono esclusivamente impiegati specialisti statunitensi con immunità diplomatica (pur non essendo diplomatici, ma quasi tutti militari), dipendono direttamente dal ministero della Difesa Usa e sono comparsi in Ucraina durante la presidenza del filoatlantista V. Juschenko: il 29 agosto 2005, tra il Pentagono e il ministero della Sanità ucraino venne stipulato un contratto di cooperazione per la prevenzione delle tecnologie proliferative di agenti patogeni utilizzati nello sviluppo di armi chimiche.

Il finanziamento di questi centri raggiunge i 2 miliardi di dollari, erogati dalla Dtra (Defence Threat Reduction Agency). Partecipano al progetto anche l’Stcu (Science and Technology Center in Ukraine), un’organizzazione intergovernativa che, ufficialmente, è preposta al controllo della non-proliferazione di armi nucleari, chimiche e biologiche, nonché le maggiori compagnie che costituiscono il cartello farmaceutico globale (il cosiddetto Big Pharma): Bavarian Nordic, Cangene Corporation, Dor BioPharma, Inc., DynPort Vaccine Company Llc, Elusys Therapeutics, Inc., Emergent BioSolutions, Hematech, Inc., Human Genome Sciences, Inc., NanoViricides, Inc., Pfizer Inc., PharmAthene, Siga Technologies, Inc., Unither Virology Llc.

Le autorità statunitensi sostengono che questi centri sono preposti allo studio di virus mortali al fine di tutelare la popolazione mondiale dalla loro diffusione. Tuttavia, bisogna tener conto che l’attività dei laboratori è svolta al di fuori dei confini statunitensi, è gestita dal Pentagono (vale a dire da un’istituzione militare, non sanitaria), è tenuta sotto segreto assoluto e non può essere controllata dai governi locali – ogni tentativo di ingerenza viene punito con colpi di Stato eterodiretti, come mostreremo in seguito. Inoltre, i risultati sono inaccessibili ai ministeri della Sanità locali che collaborano col Pentagono nei paesi interessati e il numero degli specialisti locali coinvolti deve essere ridotto al massimo. Come ha appurato la giornalista bulgara D. Gaytandzhieva nel suo notevole articolo I bio-laboratori segreti del Pentagono, la struttura militare controlla più di 400 laboratori simili in tutto il pianeta: a detta della giornalista, il loro vero fine è la creazione di armi biologiche – le dichiarazioni che assicurano sul carattere pacifico delle ricerche sono solo una copertura.

I test sui cittadini georgiani e ucraini

La comunità civile ucraina ha, quindi, da subito nutrito leciti dubbi sulla reale attività di questi centri di ricerca, sugli effettivi scopi da essi perseguiti e, soprattutto, sulla sicurezza degli esperimenti condotti: come ha infatti notato S. Gorbachev, un esperto militare a capo dell’Istituto dei Paesi Csi a Sebastopoli (Institut Stran SNG v Sevastopole), si può ipotizzare che gli Stati Uniti creino simili laboratori nelle nuove «colonie» post-sovietiche non solo per tutelare il proprio territorio dal rischio di perdite e fughe di materiale tossico, ma anche per usare gli abitanti locali come inconsapevoli cavie oppure aggirare il divieto della Convenzione di Ginevra del 1972 e produrre illegalmente armi biologiche.

Tale è il rischio a cui sono esposti paesi come l’Ucraina e la Georgia, un’altra nazione che ospita simili laboratori e che ha avuto delle esperienze drammatiche in relazione alla loro attività: secondo l’ex ministro georgiano per la Sicurezza Statale, Igor’ Ghiorgadze, nel 2018 il Centro statunitense «Lugara», presso Tbilisi, testò infatti su cittadini georgiani un preparato di nome «Sovaldi», prodotto dalla Gilead Science, e 73 volontari del test morirono in dinamiche poco chiare. Per inciso, la Gilead Science è la compagnia farmaceutica che si è fregiata or ora – più esattamente, il 29 aprile – di aver elaborato un preparato efficace contro il coronavirus, il Remdesivir. La notizia ha fatto salire del 6,3% le quote azionarie della compagnia e, probabilmente, darà la possibilità ai vari governi soggetti agli atlantisti di iniettare forzatamente nelle proprie popolazioni Dio sa cosa…

I sospetti sui laboratori americani

Ma lasciamo i fasti della Gilead Science – sperando che dia finalmente spiegazioni esaurienti su quanto avvenuto al Centro «Lugara» – e torniamo al nostro tema. A livello ufficiale, i centri in questione hanno cominciato ad essere sottoposti a seri controlli da parte delle autorità ucraine solo nel 2010-12 (vale a dire, durante la presidenza di V. Janukovich): l’allora primo ministro N. Azarov sospettò che nei laboratori statunitensi venissero testati dei virus-mutanti da utilizzare per fini militari. I controlli fatti nel 2010-11 dalla commissione governativa guidata da A. Iljucha evidenziarono diverse gravi infrazioni nel sistema di gestione e contenimento del materiale tossico: venne addirittura appurato che una conduttura di ventilazione esponeva alle sostanze una scuola materna che si trovava nelle vicinanze.

Un secondo controllo, condotto nel 2012 su iniziativa di Valerij Choroshkovskij, confermò il medesimo «alto» livello di attenzione mostrato dal personale statunitense alla salute della popolazione ucraina. Sebbene non fossero state rinvenute prove evidenti di produzione di armi biologiche, questi soli fatti costituirono una base sufficiente per spingere Janukovich, nel 2013, a non rinnovare, alla sua scadenza, il contratto di cooperazione del 2005. Possiamo supporre che tale rifiuto sia stato uno dei motivi principali della caduta del presidente estromesso dal colpo di Stato sostenuto da Usa e Ue, dal momento che i golpisti, subito dopo aver ottenuto il potere nel 2014, non solo ristabilirono prontamente il contratto e l’attività dei laboratori, ma ne ripristinarono l’assoluta segretezza operativa, vietando la pratica – seguita dal governo di Azarov – di costituire delle apposite commissioni di controllo sanitario. Dettaglio importantissimo di cui, naturalmente, i mezzi di informazione e i vertici accademico-scientifici allineati con il blocco atlantista non hanno mai parlato.

La geografia e la storia epidemiologiche ucraine sembrano sostenere la lungimiranza di Azarov e la preoccupazione della comunità civile. Nel 2009, la regione di Ternopil’ venne afflitta da un virus che provocava una polmonite emorragica: si ammalarono 450 persone, ne morirono 14. Nel 2011 abbiamo un’epidemia di colera: 33 vittime. Nel gennaio 2016, a Charkiv, 20 militari morirono di un virus sconosciuto, due mesi più tardi assistiamo al contagio di 364 persone per lo stesso ceppo di febbre suina osservata nel 2009. Nell’estate del 2017 viene registrata ad Odessa un’epidemia di epatite A, comparsa poi in autunno a Charkiv. Come sostiene Aleksej Zhuravko, ex-deputato (2007) del Partito delle Regioni, i casi di epidemia hanno interessato non solo gli esseri umani, ma anche gli animali: a partire dal 2005, si assiste ad inspiegabili morie di bestiame.

Epidemie e laboratori Usa: esiste una connessione?

Non si può non notare che la diffusione di questi morbi ha avuto luogo dopo l’istituzione dei centri di ricerca statunitensi e, principalmente, nelle città dove essi si trovano. Inoltre, i ceppi virali sono gli stessi di quelli esaminati presso i centri in questione, in particolare la febbre suina A (H1N1). Il bio-laboratorio dislocato presso Ternopil’ venne fatto chiudere dopo l’epidemia del 2009 (per poi essere riaperto dai golpisti nel 2014), il che testimonia indirettamente il coinvolgimento degli statunitensi. Questi ultimi, tuttavia, non rimasero senza una ricompensa «morale» per il danno subito: per combattere il virus, il governo guidato all’epoca da J. Timoshchenko acquistò vaccini prodotti dall’industria farmaceutica statunitense per una somma di 120 milioni di dollari.

Ternopil’ è, tra l’altro, di nuovo protagonista nell’ultimo episodio della serie: agli inizi di gennaio dell’anno in corso, gli ospedali della città vennero colmati nell’arco di pochi giorni da circa 150 pazienti affetti da una forma di polmonite virale estremamente aggressiva. I sintomi erano febbre alta su cui gli antipiretici non sortivano alcun effetto, tosse secca, affanno. Gli stessi sintomi del coronavirus, insomma, ma prima che il morbo facesse la sua comparsa pandemica in Europa…I decessi furono, come minimo, tre. L’emergenza attuale e i fatti precedentemente esposti hanno spinto i deputati V. Medvedchuk e R. Kuz’min, appartenenti alla frazione parlamentare Opozycijna Platforma –Za Zhittja, a presentare, il 14 aprile scorso, una petizione parlamentare al presidente ucraino V. Zelenskij, al primo ministro Shmygal’, al capo dei Servizi di Sicurezza Nazionale Bakanov e al ministro della Sanità Stepanov. Al termine della petizione, i deputati, dopo aver accuratamente illustrato gli inquietanti dati relativi alla presenza dei laboratori, concludono: «Non è escluso che l’attività segreta e poco limpida di pericolosi siti stranieri sul territorio ucraino sia diretta a testare l’effetto di virus e batteri sull’organismo dei nostri concittadini», e chiedono di far luce sulla reale natura di questi centri, nonché di definirne, tramite rigorosi controlli, il livello effettivo di pericolosità.

Sebbene la petizione fosse stata rivolta a figure ufficiali di uno Stato sovrano, a risponderle sono stati i diplomatici statunitensi di stanza a Kiev che, senza nemmeno menzionare nella propria nota gli autori della petizione, hanno chiamato quest’ultima «propaganda russa» – il fatto che essa sia stata stilata in lingua ucraina da deputati ucraini per difendere gli interessi e l’incolumità della popolazione ucraina non sembra aver suggerito ai dignitari statunitensi l’assurdità della loro accusa – e si sono limitati a sottolineare quanto segue: i laboratori esistono, ma il carattere della loro attività è assolutamente sicuro per le persone e gli animali, poiché i virus vengono studiati per scopi pacifici; tali centri sono una garanzia a che pericolosi agenti biologici non finiscano nelle mani sbagliate: la collaborazione ucraino-statunitense è necessaria «per la pace globale e il benessere tramite la diminuzione dei rischi connessi alle armi chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari», concludono i diplomatici. Non vengono forniti particolari concreti sulle operazioni svolte nell’ambito dell’attività di ricerca, a parte  espressioni estremamente vaghe come «misure di osservazione biologica».

Controlli vietati

Un ottimo esempio di linguaggio orwelliano, di cui la nazione più democratica e trasparente del pianeta è peritissima artefice (non riusciamo infatti a capire perché tali laboratori non siano stati aperti negli Stati Uniti, se sono assolutamente sicuri, e come lo studio di virus letali da parte di strutture militari persegua scopi esclusivamente pacifici). La nota dei diplomatici statunitensi permette comunque di comprendere alcuni dettagli fondamentali: i laboratori esistono realmente e le autorità statunitensi non sono affatto disposte ad autorizzarne volontariamente un controllo, dal momento che nelle parole dei funzionari non esiste menzione alcuna a riguardo. È per questo che il deputato Medvedchuk ha definito la risposta in questione «degna solo di disprezzo».

Della reale natura dell’attività dei laboratori statunitensi in Ucraina si è detta preoccupata anche Marija Zacharova, rappresentante ufficiale del ministero degli Affari Esteri russo. I timori della Zacharova sono ben comprensibili: oltre al fatto che i laboratori in Ucraina e in Asia Centrale stanno accerchiando la Federazione Russa, bisogna ricordare che, nell’estate del 2017, il ministero dell’Aviazione statunitense ha acquistato dei campioni di molecole Rna appartenenti a cittadini russi di razza europoide. Alla richiesta dei giornalisti di RT di fornire informazioni sui motivi di tale acquisto, Marcus Mattingly, responsabile del progetto, si è rifiutato di rispondere. È chiaro che, se i timori risultassero fondati, la Russia si troverebbe accanto un paese che ospita laboratori in grado di sferrarle attacchi biopatogeni dalle conseguenze gravissime. Secondo Igor’ Nikulin, esperto militare ed ex-membro del Comitato Onu per le Armi Biologiche e Chimiche, i campioni sono stati infatti richiesti per la produzione di armi biologiche. Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il progetto è gestito da un organo militare: gli Usa stanno cercando di elaborare dei virus mirati a specifici etnofondi.

L’Ucraina sembra aver superato la crisi Covid-19 senza perdite drammatiche. Ma l’interrogativo maggiore rimane aperto. In cosa consistono le attività dei bio-laboratori statunitensi in questo paese e cosa vi viene creato? La risposta può essere data solo da un controllo autonomo e rigoroso da parte delle autorità ucraine. È, però, poco probabile che il presidente Zelenskij, stretto dalla morsa del Fmi, dei vincoli Nato, delle multinazionali atlantiche e delle organizzazioni non governative sorosiane, che hanno preso in ostaggio il paese dopo il golpe del 2014, sia in grado di attuare una scelta simile.

Marco Civitanova

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