Roma, 14 mar – Decreto di espulsione per un tunisino amico di Anis Amri, il terrorista di Berlino. Cacciato dall’Italia per motivi di sicurezza con volo diretto per Tunisi, l’uomo 37enne e residente a Latina, era stato segnalato nell’ambito degli approfondimenti investigativi avviati in seguito all’attentato compiuto a Berlino lo scorso 19 dicembre. Secondo gli investigatori aveva aderito alla compagine islamista radicale gravitante nella moschea di Latina che si opponeva all’imam Arafa Rekhia Nesserelbaz, considerato di orientamento moderato. A seguito delle indagini svolte, il tunisino è risultato inoltre intestatario di una utenza emersa tra i contatti intestati ad Anis Amri, quando quest’ultimo, nel giugno 2015, era stato ospitato nell’abitazione di Yaakoubi Montasser e della sua compagna, ad Aprilia.
Sempre secondo gli investigatori il tunisino era ossessionato dai poliziotti che il 23 dicembre scorso uccisero Amri a Sesto San Giovanni, il suo intento pare fosse proprio quello di vendicare la morte dell’amico terrorista. E questo fa pensare una volta di più all’errore commesso dal ministro dell’Interno Minniti e dal premier Gentiloni che in sede di conferenza stampa comunicarono nomi cognomi, luogo di nascita, e fotografie dei due poliziotti autori dell’azione. Dati poi rilanciati dai media e diffusi sui social network, come se “sbattere l’erore in prima pagina” fosse una mossa arguta e utile a qualcosa.
La notizia dell’espulsione del 37enne tunisino con simpatie e intenzioni terroristiche è senz’altro una buona nuova, ma deve in qualche al contempo evitare alle autorità preposte di non cadere in ingenuità pericolose. Oltre ad alzare l’attenzione più che mai sulla galassia jihadista dalla quale con tutta evidenza anche l’Italia non può dirsi immune.
Eugenio Palazzini