Roma, 23 mar – La Cina oggi è come La muchacha en la ventana di Salvador Dalí. Osserva il mare e attende, imperturbabile. Non vede onde alte, non c’è alcuna tempesta scrutabile dal suo punto di osservazione. La Cina non si volta, può ancora permettersi l’equilibrio statico. La guerra in Ucraina non la scuote, è un problema relativo, può affrontarlo con calma. Nessuna locomozione è necessaria, può incassare senza muovere arti, ne è conscia. Usciamo dal quadro di Dalì. L’occhio di chi osserva il dipinto non riesce a concentrarsi sulla ragazza alla finestra (il soggetto), va oltre e si perde nel paesaggio da lei scrutato. E’ l’incapacità di cogliere l’essenziale, nascosto dal frastuono dell’apparente. La Cina, semplicemente, non la capiamo. Non siamo in grado di interpretarne fino in fondo il modus pensandi, pur consapevoli che è sottile, acuto, mai scalpitante.
Ucraina e Russia, viste dalla Cina
Della Cina c’è però qualcosa che sappiamo bene e che dovremmo considerare attentamente, evitando così di incorrere in ingenue considerazioni. La Cina si muove contemporaneamente su due binari: resta politicamente legata alla Russia ed economicamente all’Occidente. Ma in entrambi i casi lo fa da una posizione dominante, o almeno che ritiene tale, perché si pensa impero e non Paese. E la sfera di influenza di un impero non ha demarcazioni definibili, sposta i confini sempre avanti, come una muraglia in perenne costruzione. Qui sta la fondamentale differenza con la Russia di oggi, abbarbicata a una visione di se stessa troppo storicista.
Dunque la Cina non romperà con la Russia, perché con Mosca isolata dall’Occidente può continuare a siglare proficui accordi commerciali, perché continua a importare dispositivi bellici dalla Russia e perché non può permettersi di farsi sostituire dall’India nel gioco delle alleanze strategiche continentali. Al contempo non romperà con l’Occidente, perché ha la necessità di perseverare con il proprio soft power. Da questo punto di vista c’è un dato su tutti che deve essere considerato: l’Occidente, paradossalmente, per la Cina conta più della Russia. Nel 2021 l’interscambio di beni tra Stati Uniti e Cina è stato pari a 657 miliardi di euro, quello con l’Unione Europea nel 2020 di 586 miliardi, quello con la Russia di appena 147 miliardi nel 2021 (pur in aumento del 36% rispetto al 2020).
Draghi e dragoni
Stamani, nel corso delle comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio Ue di domani e di venerdì, il premier Mario Draghi ha tentato un timido approccio diplomatico a distanza con la Cina. E’ “fondamentale che l’Ue sia compatta nel mantenere spazi di dialogo con Pechino, dobbiamo ribadire l’aspettativa che Pechino si astenga da un supporto a Mosca e partecipi attivamente e con autorevolezza allo sforzo di pace”, ha detto il primo ministro. Auspici ingenui, Draghi sa bene che il dragone è ancora alla finestra e non si muoverà. Non subito, non ora.
Eugenio Palazzini
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