Roma, 27 ago – Per tutto il mondo occidentale del democraticamente corretto, lei è “l’Angelo Nero del Giappone” oppure la “Black Lady” di Shinzo Abe. Si tratta di Tomomi Inada, 57 anni, brillante avvocatessa (e non avvocata) e ora neo-ministro della Difesa del Giappone in seguito al rimpasto di governo uscito dalla schiacciante vittoria del Partito Liberal-Democratico del premier Shinzo Abe alle elezioni di luglio. È la prima donna della storia del Giappone ad assumere la carica di ministro della Difesa, se si esclude Yuriko Koiko, ora governatrice di Tokyo, che assunse la carica ad interim nel 2007 per poche settimane. Ma questo sembra non interessare ai boldriniani fanatici delle quote rosa nelle istituzioni.
Già perché il nome di Tomomi Inada è da tempo finito nelle liste di proscrizione dei gendarmi del politically correct per alcune sue foto che la ritraevano in compagnia di Kazunari Yamada, leader del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Giapponesi. Ma anche per essersi recata più e più volte, proprio come Shinzo Abe, al sacrario Yasakuni Jingu, il tempio “proibito” per il mondo occidentale ma anche coreano e cinese per il fatto di ospitare, tra le altre, le ceneri di molti generali condannati come criminali di guerra nel processo di Tokyo. “Yasukuni non è il luogo per un patto di pace: è il luogo dove si onorano le anime dei soldati che hanno combattuto una disperata guerra contro gli invasori che volevano distruggere il Giappone”, ha spesso ribadito la donna. Per non far mancare nulla agli attacchi di bile dei democratici al di qua del Mar del Giappone, Inada ha più volte usato giudizi “revisionisti” o “negazionisti” sulla recente storia giapponese, arrivando addirittura a creare uno speciale comitato governativo con il compito di riesaminare in senso radicalmente riformatore tutta la storia moderna del Giappone. Quello che è passato alla storia come massacro di Nanchino non sarebbe stato affatto un massacro ma un normale scontro militare fatto passare come crimine dalla propaganda anti-nipponica perpetrata dal governo cinese, così come le donne di conforto coreane, per la vulgata democratica “schiave del sesso”, sarebbero state semplici prostitute. Quella definita dalla storiografia ufficiale come l’invasione asiatica del Giappone negli anni ’30 e ’40, infine, non sarebbe stata affatto un’invasione: “Dipende dai punti di vista, invasione militare non è un termine appropriato”.
Più di tutto a preoccupare i corretti democratici è il fatto che Tomomi Inada non sia soltanto una semplice deputata del partito di Abe ma che ne sia la responsabile delle strategie politiche e che quindi dietro all’enorme successo del Partito Liberal-Democratico ci sia proprio lei con le sue idee ritenute troppo “nazionaliste”. In questi giorni addirittura il quotidiano Usa Today, il terzo più diffuso negli Stati Uniti, ha scritto un articolo dai toni molto preoccupati sulla figura di Inada-san. Prendendo spunto dal fatto che il ministro abbia appositamente trovato un impegno ufficiale in Africa per non essere presente all’annuale commemorazione del 15 agosto per i caduti giapponesi nella Seconda Guerra Mondiale, che si tiene allo Yasakuni Jingu – la tesi è che essendo ministro la sua presenza avrebbe creato “scandalo” all’estero, ma non potendo semplicemente assentarsi, ritenendo un dovere esserci, ha dovuto trovare un incarico ufficiale che la “giustificasse” anche agli occhi dei nazionalisti – il giornale si lancia su un’analisi della recente attività politica e propagandistica della “Black Lady” sottolineandone la pericolosità. L’allarme lanciato è che il suo ruolo a ministro della Difesa proprio mentre il Giappone si appresta a riarmarsi possa essere una spina nel fianco della politica statunitense nel Pacifico e nell’Asia orientale. Quasi una risposta ai maghetti nostrani della geopolitica da tavolo che giudicano la recente decisione di Abe di riarmare il Giappone come una scelta eterodiretta dagli Usa contro non si sa bene quale difesa anti-imperialista fornita dalla Cina.
I media americani sembrano invece voler sottolineare la pericolosità di un Giappone che vuole riarmarsi rifiutando ancora di farsi “rieducare” ma che anzi rilancia volendo riscrivere la propria storia in senso revisionista e nazionalista e che, oltre che riformare il famoso articolo 9 della Costituzione, vuole approvare la “rilettura” della stessa che contempli il ritorno dell’Imperatore al ruolo effettivo di capo dello Stato, restituendogli le sue prerogative divine. “La nostra Costituzione ci è stata imposta dagli Usa” avrebbe detto Inada-san. “È ora di riscriverla noi”.
Carlomanno Adinolfi