Washington, 10 lug – “Stiamo accelerando la formazione di forze Isil (acronimo per indicare l’Islamic State of Iraq and Levant, meglio noto come Isis, ndr) inclusi volontari delle tribù sunnite nella provincia di Anbar”.
A dirlo non è un califfo del terrore pronto ad invadere l’Europa, ma il Presidente degli Stati Uniti d’America.
Barack Obama, nel corso di una conferenza stampa al Pentagono, è inciampato sul comunicato redatto dal suo entourage, facendo sollevare un polverone intorno alle sue parole (testualmente: “We’re speeding up training of ISIL forces, including volunteers from Sunni tribes in Anbar Province“).
L’intento era quello di sottolineare che gli Usa, in maniera celere, stanno cercando in Iraq di aumentare i contingenti da contrapporre all’Isis – visto che delle 24.ooo unità di soldati che l’esercito americano sperava di addestrare, solo 9.000 sono quelli realmente sotto la bandiera a stelle e strisce – ma ne è uscito fuori un lapsus singolare.
Non è andata meglio quando la trascrizione ufficiale del discorso rilasciata dalla Casa Bianca ha corretto il tiro inserendo tra parentesi la parola “iracheno” davanti alla sigla “Isil”, anziché fare qualcosa di molto più intuitivo per venire incontro alle presumibili intenzioni reali del presidente, ovvero aggiungere il prefisso “anti-“ davanti alla sigla terroristica.
Le parole del numero uno statunitense, pur tenendo conto del suo scivolone lessicale, lasciano libere interpretazioni, visto anche quanto fatto, recentemente, da alcuni politici americani in Siria, con la loro opera di favori verso i ribelli, contro il legittimo governo di Assad.
A questo si aggiungono le parole dell’attivista Ken Pietra alla TV di stato iraniana: “ISIL è un bene degli Stati Uniti…(che) fornisce un pretesto o un cavallo di Troia per gli Stati Uniti mantenendo una presenza militare in Iraq e anche di cercare un cambio di regime in Siria”.
La polemica non si arresta, ma le ombre sull’operato della Casa Bianca in medio oriente si infittiscono.
Lorenzo Cafarchio