Roma, 26 mar – Siamo alle solite: come si inizia a prendere in considerazione un intervento militare da parte del nostro Paese, siamo costretti ad assistere al solito bieco, deleterio e triste teatrino.
Cosi, appena si parla di un possibile intervento militare italiano in Libia, sorvolando sulle corbellerie da social network, assistiamo a diatribe tra il solito pacifismo oltranzista radical-chic di certa sinistra fino al più becero interventismo da tavola di una destra alla “armiamoci e partite”. Ma questo è tutto sommato “normale, il vero problema è l’atteggiamento della classe dirigente nazionale.
In primo luogo queste persone dovrebbero ricordarsi che hanno letteralmente martoriato tutto il nostro apparato di difesa con la mannaia dei tagli indiscriminati. Pare che il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, in modo tuttaltro che velato abbia sottolineato che se gli si dovessero essere assegnati dei compiti questi dovranno essere accompagnati dalle relative risorse. Lor Signori, dovrebbero anche ricordarsi che abbiamo ancora due soldati ingiustamente detenuti, da tre anni, in un paese straniero che non è stato neanche capace di racimolare due prove per un processo degno di questo nome. Una farsa che di certo non aiuta il nostro “orgoglio nazionale” anzi, se mai incoraggia l’attuale nemico, il terrorismo del sedicente Stato Islamico, che ben giova di simili occasioni per ledere il morale di un Paese.
La verità è una sola ed è ineluttabile: dovremmo ricordarci di essere stati Roma un tempo. Si vis pacem para bellum dicevano i romani e se compariamo quanto hanno costruito loro e quanto stiamo distruggendo noi, forse dovremmo ascoltarli.
Perché qui, come in molti altri casi in passato, stiamo parlando di guerra. Il peace enforcement, il peace keeping, il peace building, e tutti i peace – parola random sono solo il frutto dell’ ipocrisia di una classe dirigente che non ha neanche il coraggio di pronunciare la parola guerra prima di mandare i propri soldati a combatterla allo sbaraglio.
Ma l’Italia non ha bisogno di esercizi di dialettica, ma di una ritrovata unità nazionale, una comunità di intenti e destino che anteponga a tutto l’interesse nazionale. L’Italia ha bisogno di una classe dirigente che insegua un unico sogno, l’Italia, e che abbia un solo motto: Sovranità!
Si vis pacem para bellum dicevano i romani. Avevano ragione da vendere!
Cesare Dragandana