Roma, 29 nov — Non accennano a placarsi in Cina le manifestazioni di piazza contro le strettissime regole «zero covid» che da ormai tre anni costringono milioni di cinesi a una reclusione ad oltranza e a una vita letteralmente di inferno. Il rigore e la violenza con cui il governo cinese cerca di spegnere la voce dei manifestanti si sono traslati dal mondo reale a quello della comunicazione digitale, rappresentato dai social media.
La Cina riempie Twitter di spam e pornografie per ostacolare le proteste
Su Twitter, ad esempio, una valanga di tweet spam — molto spesso indirizzanti a siti porno o a siti di gioco online o casinò — sta invadendo la piattaforma per ostacolare i dissidenti e i vari giornalisti che dalla Cina cercano di far filtrare la realtà della repressione e delle politiche di contenimento «rischio zero». Addirittura, secondo lo Stanford Internet Observatory si rileva che ben che oltre il 95% dei tweet recanti come chiave di ricerca la parola “Pechino” in cinese (“北京”) arrivi da account spam e da profili che si presume siano connessi al governo cinese.
A causa di questa estemporanea e curiosa ma efficacissima forma di mordacchia, che va sommata alla usuale censura dei contenuti praticata da vari organismi governativi, molti cittadini stanno utilizzando i VPN per aggirare il blocco di accesso a social come Twitter o Instagram. Secondo il sito di cultura digitale TechCrunch addirittura Twitter sarebbe improvvisamente balzata in cima alla classifica dei social più usati, diventando una rete di coordinamento delle proteste. Da qui la decisione della Cina ricorrere all’utilizzo di massivi flussi di spam: da un lato, si opacizzano i tentativi di organizzazione delle proteste, dall’altro lato si rende molto più arduo per l’opinione pubblica occidentale e per la stampa riuscire ad orientarsi tra le notizie e gli avvenimenti.
Il paradosso
In questi giorni, ironia del caso, un paradosso giunge proprio dall’Europa, dove la Commissione accusa Twitter di aver allentato i controlli funzionali al contrasto ai discorsi di odio. Secondo gli analisti, i licenziamenti di massa voluti da Elon Musk si sarebbero negativamente riverberati anche sulla sicurezza dei contenuti e su quella che, piaccia o non piaccia, è libertà di manifestazione del pensiero, per quanto «scomoda» sia. Così ecco il paradosso: mentre in Cina il governo soffoca gli aneliti di libertà con lo spam, la preoccupazione delle istituzioni europee rimane quella non tanto di prendere posizione a favore della libertà ma di invocare censura.
Pechino intanto fa sapere, anche stante la natura dilagante delle proteste, che dopo aver represso le forze ostili al Paese le misure di contrasto al Covid verranno riviste e rettificate. Cheng Youquan, direttore del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, ha affermato che i lockdown per contenere la diffusione del virus dovrebbero essere revocati «il più rapidamente possibile».
Cristina Gauri