Parigi, 19 mag – È il 27 ottobre 2005, pomeriggio inoltrato. Un gruppetto di adolescenti francesi di origine straniera fugge da un controllo della polizia a Clichy-sous-Bois, periferia nord di Parigi. Alcuni di loro si rifugiano in una cabina elettrica. Due di loro, Zyed e Bouna, 15 e 17 anni, ricevono una scarica mortale e vengono folgorati. Un terzo, Muhittin, sopravvive miracolosamente alla scarica di 20mila volt. In seguito a questo fatto, le periferie parigine bruceranno per mesi. In Italia, la rivolta delle banlieue del 2005 resta tuttora la più famosa, pur non essendo certo l’unica.
Ora la Francia si trova di nuovo ad avere a che fare con quei fatti: i due poliziotti, un uomo e una donna, accusati di “mancata assistenza a persona in pericolo” per la morte dei due adolescenti, sono stati assolti dal tribunale di Rennes. Secondo i giudici, le forze dell’ordine non si resero conto del pericolo che i giovani correvano rifugiandosi nella cabina elettrica. Uno dei poliziotti, tuttavia, disse alla radio della polizia: “Se entreranno lì dentro, la loro vita non varrà molto”. Secondo l’accusa, quindi, gli agenti sapevano che i due ragazzi erano in pericolo. Per la difesa, invece, il periodo ipotetico dimostrerebbe che i due non ne avessero la certezza.
La reazione, nelle periferie, è stata rabbiosa, con scontri tra polizia e manifestanti a Bobigny. Davanti al Palazzo di Giustizia di Bobigny sono riuniti “circa 250 manifestanti”, ha precisato l’emittente all-news.
Per ora nulla a che vedere, comunque, con quanto accadde nel 2005: in 20 giorni, in più di 300 comuni, si conteranno 8.720 auto date alle fiamme e 2.599 arresti. Si calcola che in tutto il 2005 furono date alle fiamme circa 45mila auto.
Situato a pochi chilometri a nord di Parigi, Clichy-sous-Bois è un agglomerato in cui all’epoca vivevano più di 28mila persone appartenenti a trentasei etnie differenti.
In seguito alla rivolta, a Venissieux, banlieue di Lione, uno dei più importanti centri della rivolta nonché storico focolaio di tumulti etnici, il sindaco André Gerin, anche deputato all’Assemblea nazionale, uomo dell’ala ortodossa del Partito comunista, non soltanto si disse perfettamente d’accordo con la linea dura di Sarkozy, ma chiese e ottenne, rivolgendosi direttamente alla segreteria del Pcf, che il partito rinunciasse a chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno.
Si sono avute anche situazioni kafkianamente divertenti, come quando il ministro francese per le Pari Opportunità, Azouz Begag, ha invitato il governo ad abolire la proibizione sulla raccolta di dati indicanti l’appartenenza etnica o religiosa. In Francia, infatti, sia agli enti governativi che alle aziende private è proibito fare questo tipo d ricerche. La ragione è, ovviamente, di marca antirazzista: diffondere statistiche basate sull’etnia potrebbe portare alla discriminazione, meglio ragionare tutti quanti come se le etnie non esistessero e tutto si aggiusterà. Se non ché, quando il fatto etnico riprende il centro della scena, ci si trova impreparati. “Dobbiamo vedere i veri colori della Francia”, disse con involontaria ironia Begag, chiedendo che la legge venisse cambiata proprio perché oscurando i dati etnici dalle analisi statistiche, questi non erano sorprendentemente scomparsi anche dalla realtà.
Adriano Scianca