Londra, 9 mag – A un mese dalla data in cui si terranno le elezioni politiche nel Regno Unito, i conservatori allargano la forbice del proprio vantaggio sui laburisti ed il leader Jeremy Corbyn è ormai sotto il fuoco incrociato di nemici sia interni che esterni al partito. Accusato di essere troppo estremista, nei giorni scorsi Corbyn, alla guida del partito da settembre 2015, ha portato il Labour ad una storica sconfitta nelle elezioni amministrative dello scorso 4 maggio, in occasione delle quali è andato perduto anche il fortino di Glasgow, laburista da settant’anni. Nonostante questo, ha fatto sapere che, qualunque sia il risultato delle elezioni del prossimo 8 giugno in cui sarà proprio lui a sfidare l’attuale primo ministro per ottenere la guida del governo, non lascerà il suo posto e rimarrà comunque alla guida del partito. Sarebbe la prima volta, da trent’anni a questa parte, che il capo dell’opposizione non lascia il suo posto dopo esser stato sconfitto alle elezioni generali. Un atto a dir poco inusuale e che in tanti potrebbero non condividere tra i simpatizzanti del partito, considerano soprattutto che gli ultimi sondaggi danno i conservatori addirittura al 48% dei consensi ed i laburisti appena al 24%, tre punti percentuali in meno di quelli ottenuti in questa già disastrosa tornata amministrativa, che ha rivelato peraltro la sostanziale scomparsa dell’Ukip.
Proprio i Tories, con la leadership forte di Theresa May, avrebbero assorbito la maggior parte dei voti del partito di Nigel Farage, uno dei principali promotori della brexit, che si era sfilato subito dopo il trionfo a sorpresa del “Remain”, deludendo evidentemente molti dei suoi sostenitori. Nel frattempo, sulle principali testate inglesi campeggiano titoli che denunciano: “Jeremy Corbyn ha definito Karl Marx un grande economista”. Nei fatti, a dir la verità, è successo qualcosa di leggermente diverso. Alla domanda di un giornalista che voleva sapere se il suo pensiero avesse una sorta di debito di riconoscenza verso il filosofo tedesco, Corbyn ha risposto: “C’è da imparare da tutti i grandi economisti”, citando peraltro anche Smith e Ricardo. Sui giornali in piena foga elettorale, l’inclusione dell’ideologo del comunismo tra i grandi pensatori, però, ha destato subito scandalo. Del resto, non era la prima volta che veniva fuori la questione ed erano passate meno di ventiquattro ore dalle dichiarazioni di un altro esponente di primo piano del partito, John McDonnell, secondo il quale “da Marx c’è molto da imparare”. E’ un fatto però che, diatribe su Marx a parte, la determinazione a rimanere alla guida del Partito Laburista anche dopo la probabile sconfitta, è da più parti attribuita a dinamiche interne al partito, per cui cedere sulla leadership sarebbe come cedere il passo alla “destra” del partito. Una sconfitta che, più di quella politica, Corbyn è deciso ad evitare. Lui e i suoi, scrive oggi il Telegraph, “sono determinati a non consegnare il suo ‘scalpo’ ai moderati nel partito”. Resta soltanto da capire quanto resisterà alle pressioni interne, dopo esser passato indenne alle polemiche pre-brexit sull’antisemitismo nel partito.
Tra i punti principali del suo programma c’è un classico cavallo di battaglia della sinistra, l’aumento delle tasse per chi guadagna più di 80mila sterline l’anno e la volontà di destinare più soldi al servizio sanitario nazionale ed al welfare. Ma è la credibilità delle promesse messe in campo che farà la differenza. E, soprattutto, il peso attribuito a questioni come la sicurezza, l’immigrazione e l’atteggiamento nei confronti dei negoziati sulla brexit, centrali nella discussione politica oggi più che mai. “Abbiamo appena visto questo onorevole gentiluomo rifiutarsi di dire che colpirà con forza il terrorismo, rifiutarsi di dichiarare il suo impegno per quanto riguarda il nostro deterrente nucleare e rifiutarsi di assicurare il controllo dei nostri confini”, ha sottolineato Theresa May nel corso di un dibattito parlamentare nei giorni scorsi, dimostrando ancora una volta di avere compreso appieno la strategia da adottare per vincere le prossime elezioni, che non saranno elezioni come le altre, considerata l’impellente faccenda europea in gioco.
“Il signor Corbyn non ha mai lasciato gli anni Settanta”, ha scritto lo scorso 4 maggio sul Financial Times Philip Stephens, una delle principali firme del quotidiano, il quale – pur facendo ironia anche sul nostalgismo della May, rivolto alla grandezza del regno negli anni Cinquanta – ha soprattutto sottolineato, in merito al leader dei laburisti, che “la sua carriera politica è stata spesa tra le diverse fazioni dell’estrema sinistra – trotskysti, stalinisti, devoti dell’ultimo dittatore albanese Enver Hoxha ed altre fazioni”. Il personaggio, quindi, non è decisamente uno che unisce, soprattutto nel “moderatissimo” Regno Unito. Ecco spiegata la frase del Telegraph in merito alla frase su Marx: “Sono proprio dichiarazioni come queste – e ce ne sono molte di più – la ragione per cui il popolo britannico darà un duro colpo al partito laburista il prossimo 8 giugno”. Una considerazione certo di parte ma – a torto o ragione – non troppo lontana dal comune sentire. Ed è rivelatore del malcontento verso Corbyn, del resto, anche l’editoriale pubblicato da “The Guardian” lo scorso 5 maggio, firmato da Jonathan Freedland, giornalista pluripremiato nel Regno Unito, di origini ebraiche molto impegnato anche professionalmente su questo fronte (scrive per “The jewish Chronicle”, ha curato per la Bbc “Gli ebrei britannici ed il sogno di Sion”, ecc.). “Non ci sono più scuse: è di Jeremy Corbyn la colpa di questo crollo”, era il titolo dell’editoriale in cui Freedland chiede la testa del capo del partito, colpevole a suo dire della passata e della futura sconfitta contro i conservatori. E’ vero che la classe operaia contraria all’Europa si è sentita più rappresentata dai conservatori, ma sono in tanti i sostenitori del partito che vorrebbero ancora Labour se Corbyn andasse via: questa l’essenza del suo discorso.
Ecco perché le chance di vittoria per l’attuale premier Theresa May sembrano schiaccianti, nonostante Corbyn stia cercando di presentarsi come candidato anti-establishment. Troppo tardi per una sinistra che un po’ ovunque in Europa ha perso ogni contatto con i lavoratori.
Emmanuel Raffaele