Roma, 10 ott – Rappresaglia o pericolosa escalation militare? I missili su Kiev e altre importanti città ucraine potrebbero essere facilmente derubricati a semplice vendetta di Mosca, durissima risposta alla controffensiva subita nelle ultime settimane, culminata con l’attacco al ponte di Kerch. Altrimenti, si potrebbero leggere come accelerata improvvisa da parte russa, molto pericolosa perché si rischia un’estensione della guerra a territori mai coinvolti o comunque meno presi di mira. Resta poi l’incubo del ricorso all’arma atomica, sin troppo evocato da più parti. In tal senso però vale la pena ricordare che mettere mano al nucleare non conviene davvero a nessuno, sarebbe un punto di non ritorno devastante per tutte le parti in causa, in primis proprio per la Russia.
Se lo spauracchio continua quindi ad aleggiare, è importante comprendere quanto al momento sia improbabile che si trasformi in tragica realtà. Stiamo allora ai fatti e alle reazioni da questi innescate. La prima reazione, senz’altro la più rilevante, riguarda la postura assunta dagli Stati Uniti. La seconda riguarda il fronte interno russo. La terza coinvolge il confine ucraino, sponda atlantica e sponda russa, ovvero Moldavia e Bielorussia. La quarta è un fantasma, quello dell’Europa assente, ancora una volta.
Rappresaglia russa o escalation? I messaggi Usa
Washington continua a mandare messaggi in codice, a Kiev e a Mosca. Alla prima sembra voler imporre una battuta di arresto, alla seconda una nuova disponibilità alla riapertura del tavolo negoziale. Sono segnali significativi, eppure obiettivamente di ardua interpretazione, a meno che non si pretenda di avere la verità in tasca, dunque di conoscere tutti i precisi obiettivi non dichiarati. Nessuno ha la sfera di cristallo, pochissimi sono a conoscenza delle reali intenzioni americane – ammesso e non concesso che alla Casa Bianca vi sia davvero una sola linea –, ma tutti dovrebbero essere consapevoli che ogni conflitto ha un grado di imponderabilità dettato dagli eventi, non sempre – o comunque non in toto – telecomandati.
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Federazione irrequieta
Mosca d’altro canto non è un monolito. La litania dell’uomo solo al comando è utile soltanto a partorire analisi superficiali. Vale per i sostenitori di Putin tanto quanto per gli avversari, nel quadro della partigianeria spontanea. Prova ne sia il mini terremoto interno verificatosi in Russia nelle ultime settimane, con la voce dei più accessi guerrafondai che imperversa. “Ora sono soddisfatto al cento per cento del modo in cui viene condotta l’operazione militare speciale”, ha scritto oggi, su Telegram, Ramzan Kadyrov. Il leader ceceno, dopo gli screzi con il Cremlino, è tornato poi a lanciare messaggi infuocati a Kiev: “È meglio che scappi, prima di essere colpito. Corri. Corri, Zelensky, corri verso Occidente senza guardare indietro”. La rappresaglia di Mosca può insomma essere letta pure come un messaggio ai focosi personaggi che governano le porzioni più irrequiete della Federazione, della serie: ora vi abbiamo accontentato.
Occhio a Moldavia e Bielorussia
Al netto di mosse imprevedibili, tutto questo ci porta a pensare che i missili sulle città ucraine siano il primo paragrafo dell’ultimo capitolo di una drammatica guerra che va avanti da quasi otto mesi. Alti fuochi prima prima di (ri)aprire i negoziati. Tuttavia proprio ora inizia una partita delicata, perché a un passo dalla trattativa tutto potrebbe precipitare. C’è da scongiurare l’estensione dello scontro alla Moldavia, relativamente protetta dall’ombrello Usa, e alla Bielorussia, inquieto satellite di Mosca. Il governo di Chisinau ha detto stamani che i missili russi lanciati contro le città ucraine hanno attraversato lo spazio aereo moldavo. Mentre Lukashenko ha annunciato il dispiegamento di truppe bielorusse al confine con l’Ucraina. “Ieri siamo stati avvertiti attraverso canali non ufficiali di un attacco alla Bielorussia dal territorio dell’Ucraina”, ha detto il leader di Minsk. “La mia risposta è semplice: dite al presidente dell’Ucraina e ad altri pazzi che il ponte di Crimea sembrerà insignificante se toccheranno anche solo un metro del nostro territorio”, ha tuonato Lukashenko. Sin qui siamo ai timori degli uni (i moldavi) e alle parole incendiarie degli altri (i bielorussi). Ma il tempo per evitare l’escalation vera e propria stringe. E in tutto questo servirebbe la voce che non c’è, quella dell’Europa imbambolata, ingessata, bella addormentata.
Eugenio Palazzini