Roma, 18 dic – Con un passo storico, il Presidente americano Barack Obama ha annunciato ieri, la volontà Usa di ristabilire normali relazioni diplomatiche con Cuba, congelate fin dal 1960 all’indomani della rivoluzione castrista, quando fu imposto anche un durissimo embargo che da oltre 50 anni costringe l’isola caraibica a una dura lotta per la sopravvivenza. Insieme alle relazioni diplomatiche, la proposta di Obama prevede tra l’altro la riattivazione dei viaggi regolari per Cuba, l’estensione all’isola del sistema di carte di credito americane, la cooperazione nelle telecomunicazioni.
Nonostante che proprio l’embargo rappresenti nel concreto il vero grande nodo ancora da sciogliere, come sottolineato ancora dal Presidente cubano Raul Castro in un discorso televisivo, la proposta di Obama di riaprire l’ambasciata statunitense all’Avana rappresenta uno sviluppo impensabile fino a pochi mesi fa, per di più accompagnato da un importante scambio di prigionieri – ufficialmente “spie” – tra i due paesi.
I segnali, tuttavia, si andavano accumulando da tempo, almeno dallo storico viaggio di Papa Giovanni Paolo II a Cuba nel 1998, all’incontro tra Fidel Castro e Papa Benedetto XVI all’Avana nel 2012, passando per il ruolo dell’allora ministro degli esteri cubano Felipe Pérez Roque già dal 2006, fino a alle pubbliche ed esplicite lodi dell’ambasciatrice Usa all’Onu, Samantha Power, esponente di spicco dei neocon americani e personaggio non proprio accomodante, per usare un eufemismo, nello scorso novembre, per il ruolo di Cuba e delle sue centinaia di medici nella lotta all’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale.
A tutto questo devono essere aggiunti almeno due altri elementi esterni fondamentali: il primo, la lettera spedita dall’attuale Papa Francesco – che gode di altissima reputazione e ascolto in tutto il continente americano – ai presidenti cubano e Usa l’estate scorsa, e il ruolo ormai dichiarato della Santa Sede di facilitatore e garante delle trattative e del ristabilimento delle relazioni diplomatiche e in prospettiva economiche e commerciali tra i due quasi ex-nemici; il secondo elemento, il ruolo della Russia, che nel corso di quest’anno ha cancellato il 90% del debito cubano accumulato con l’ex URSS, a fronte del quale erano circolate notizie relative alla volontà di riattivare una gigantesca base radar e di telecomunicazioni militari nel paese, anche se successivamente smentita direttamente dal presidente Putin. Così come non può essere sottaciuta la solidarietà e l’aiuto concreto offerto a Cuba, in questi anni, da numerosi paesi sud-americani, dal Venezuela in primo luogo (petrolio in cambio di qualificata assistenza sanitaria), ma anche da Brasile, Bolivia, Ecuador, Argentina. Si ricorderà, per esempio, il rapporto fraterno tra il defunto presidente venezuelano Hugo Chavez e Fidel Castro.
Quale tra tutti gli elementi sopra ricordati possa aver giocato il ruolo maggiore, o in quale percentuale, è ormai un esercizio poco più che accademico, così come nessuno può oggi prevedere fino a che punto sarà possibile per Obama portare la sua svolta alla logica conseguenza della remissione dell’embargo, anche considerando il controllo repubblicano sul Congresso Usa e le feroci proteste che già si levano da quella parte.
Al di là della retorica ammissione di Obama “todos somos americanos” e della richiesta di Raul Castro al suo popolo di esprimere rispetto per lo stesso Obama, qualsiasi sia stato l’elemento scatenante di tanto sviluppo, nonché qualsiasi idea si possa avere degli ideali, della struttura politica e sociale di Cuba, preme qui rimarcare niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza la tenace volontà, l’orgogliosa sovranità e la fermezza del popolo cubano rispetto alla conservazione della propria identità.
Tra i commenti sulla vicenda, uno dei più brillanti e autorevoli ci pare quello del Prof. Gennaro Carotenuto, di cui vogliamo riprodurre uno stralcio: “… la resistenza del popolo cubano in tutti questi anni si è dimostrata essere non ideologica ma rispondente a precise esigenze storiche nazionali. Che piaccia o no, – nonostante in particolare nei primi anni Settanta abbia vissuto periodi opachi – Cuba non è mai stata il gulag tropicale descritto dal modello disinformativo mainstream. In un paese dove circolano liberamente milioni di stranieri non si sopravvive alla crudezza del periodo speciale senza un consenso di massa, che non può essere basato sulla repressione. Questa partita, che doveva concludersi con la capitolazione dell’isola e la sua sottomissione al gigante del Nord, passa invece dal riconoscimento della dignità e della sovranità di Cuba, qualcosa di elementare che da Kennedy a Bush nessun presidente statunitense aveva mai pensato di fare.”
Sovranità e identità: i due riferimenti e attributi sicuri, da conquistare e difendere fino all’ultimo uomo, sulla base dei quali una Nazione non può temere minacce esterne, ma guadagnare il rispetto e scegliere la forma della propria organizzazione secondo storia, sensibilità e vocazione. Ci dice niente, questo?
Francesco Meneguzzo
1 commento
[…] ad annunciare la volontà Usa di ristabilire normali relazioni diplomatiche con Cuba, abbiamo già discusso ampiamente su queste colonne, inclusa la prospettiva da evitare assolutamente da parte statunitense dell’installazione di una […]