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Putin tra il Donbass e un’economia in sofferenza

by La Redazione
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Roma, 6 nov – Vladimir Putin avrebbe già vinto da mesi in Ucraina, dicono in molti. Ma oggi ha bisogno sul campo di migliaia di nordcoreani inviati a combattere ed appare difficile credere che non siano stati chiamati in aiuto, ma solo per far loro condividere in extremis la vittoria.  In realtà, l’area interessata al conflitto assai probabilmente rimarrà instabile anche a seguito della vittoria “definitiva” dei russi in Donbass. Una vittoria soprattutto tattica. 

I russi? “Abituati a soffrire”, ma…

La verità è che strategicamente l’impresa di Putin è stata finora una pesante disfatta, con centinaia di migliaia di morti e condizioni economiche interne disastrate. Sconfitta strategica perché in compenso la NATO si è allargata rispetto al 2022 e noi europei abbiamo tranquillamente sostituito la Russia come fornitore di idrocarburi. Tra l’altro oggi vi è un prezzo molto basso del gas, mentre secondo la propaganda del Cremlino saremmo già dovuti essere morti di freddo da un paio di anni. 

Se è vero che i russi da secoli sono “abituati a soffrire”, non per questo si può pensare che saranno sempre sottomessi. Basti pensare allo sfacelo della Prima Guerra Mondiale, quando migliaia di soldati iniziarono a ribellarsi per poi ingrossare i reparti di Lenin. In Russia, come del resto ovunque, le sconfitte militari non sono gradite. Ormai Putin non può arrendersi perché altrimenti perderebbe la faccia e questo lo esporrebbe a violente reazioni delle oligarchie interne. Ma non potrà continuare per molto.

I russi, è bene ribadirlo, hanno deciso di prendere il Donbass solo quando l’Unione Europea aveva iniziato un progetto di acquisto delle terre rare ivi presenti. Quindi è stata una guerra soprattutto contro l’Europa fomentata da Biden, che vedeva una riottosa Unione Europea troppo protagonista. La Russia cresce dicono ancora i soliti e noi invece ci impoveriamo: questa la retorica del nuovo Comintern.

Le mosse di Putin e l’economia russa

A settembre però il reddito medio di un tedesco era cinque volte più alto di quello di un russo. Nell’ultimo anno la banca centrale russa ha alzato di sette punti il tasso, che oggi è arrivato al 21%. Rendendo così gravoso un andamento economico interno già fragile perché orientato quasi esclusivamente alla vendita di idrocarburi che oggi rendono assai meno – per la gioia di Pechino che li rileva a prezzi stracciati. Nel mondo, solo i 7 Paesi più poveri tra i 54 africani, così come le nazioni la cui economia è in profonda crisi, hanno superato il 20%. Ad esempio in Venezuela (59,26%), Turchia (50%), Argentina (40%) e Iran (23%). Ora la Russia si è unita a loro. Nella riunione del 25 ottobre, la Banca di Russia (banca centrale) ha deciso di aumentare il tasso di riferimento al suddetto livello record, come non accadeva da 22 anni.

Le condizioni economiche della Russia sono difficili e tenute in stato vegetativo solo dall’incremento della produzione militare. Un effetto drogato sul PIL che illude ancora qualcuno sull’inefficacia delle sanzioni. Basti pensare che Gazprom non ha potuto distribuire utili del 2023 implodendo in borsa. Gran parte delle armi russe e dei loro carri funzionano con tecnologia americana, per cui se davvero Washington avesse voluto fermare subito l’avanzata russa, la guerra sarebbe già finita da tempo con la vittoria totale degli ucraini. Vittoria che evidentemente gli USA non hanno mai voluto davvero, preferendo un generale logoramento dei duellanti e l’instabilità dell’area.

La tenaglia di Jalta

Se oggi i russi vendono l’uranio agli USA e non più ai francesi, si evidenzia come la tenaglia di Jalta ancora pesi sull’Europa e più di quanto si pensi. Il vero problema degli americani sarà quello di riportare una ipotetica Russia del futuro, nell’orbita occidentale strappandola al Dragone, loro vero rivale, facendo l’inverso di quanto già realizzato quando era l’URSS ad attrarre a sé una modesta Cina. Ritornare all’abbraccio sulle rive dell’Elba, un abbraccio non più nascosto come oggi, per continuare comunque ed ancora ad affondare il tallone di Jalta sull’Europa.

Pietro Ferrari

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