Roma, 13 feb – Anche in un’epoca post-ideologica in cui tutto viene digerito e assimilato al chiacchiericcio dominante, il nome di Julius Evola continua a fare eccezione. Molto probabilmente non esiste pensatore dalla fama più sinistra, tant’è che basta solo pronunciarne il nome per assistere a reazioni scomposte. Negli anni ’90, per esempio, Susanna Tamaro, reduce dal successo di “Va dove ti porta l cuore”, pubblicò il romanzo “Anima mundi”, in cui a un certo punto un personaggio diceva di un altro che era un tipo un po’ “evoliano”. Tanto bastò a scatenare un’ondata censoria sul “romanzo che sdoganava Evola” (e a nulla valse il fatto che la Tamaro abbia dichiarato candidamente non solo di non essere lei stessa evoliana, ma di non aver mai letto una riga del pensatore tradizionalista). Ora è la volta di Steve Bannon, con ben più clamore. I fatti li abbiamo giù raccontati: il New York Times ha scoperto un video del 2014 in cui il consigliere di Trump nomina Evola. La cosa, lo si capisce, fa gola: se si riesce a dimostrare che Trump è il capofila di una sorta di internazionale nera volta a far calare una cappa nazifascista sull’Occidente, si può risparmiare la fatica di chiedersi perché i lavoratori di mezzo mondo si ostinino a non votare come dice Meryl Streep.
Anche in questo caso, tuttavia, il caso è montato (quasi) sul nulla. Parlando via Skype a una conferenza che si stava tenendo in Vaticano, nell’ambito di un discorso più ampio sul presidente russo Vladimir Putin, Bannon citò alcuni consiglieri del leader russo (Dughin?) influenzati da Evola, definito dall’intellettuale statunitense come uno di quegli “autori del primo Novecento che facevano parte del cosiddetto movimento tradizionalista, che alla fine divenne per metastasi il fascismo italiano”. Si vede bene come Bannon non citi Evola come uno dei suoi autori di riferimento e anzi ne faccia, se non direttamente un cancro, almeno l’origine di esso (il verbo usato, “metastasized”, non lascia spazio a equivoci). Non solo: qualche riga dopo, Bannon, pur facendo un discorso ampio i cui dice di ammirare gli stati forti e sovrani, come la Russia, definisce il regime di Putin una “cleptocrazia”. A ciò si aggiunga che Bannon non dà alcuna prova di una qualche conoscenza del pensiero evoliano che sia più che superficiale. Ne conosce il nome e ha avuto un’eco del rapporto fra tradizionalismo e fascismo. Quest’ultimo punto, peraltro, non sembra piacergli. E allora? Dov’è lo scandalo. Non c’è, se non per il fatto che Bannon conosce il nome di Evola. Tanto basta.
È vero: in un articolo di Breitbart dello scorso marzo – “An Establishment Conservative’s Guide to the Alt-Right” – Evola viene citato come uno dei pensatori in cui è possibile trovare “le origini dell’alt-right”, una sorta di “Nuova Destra americana” in cui, stavolta per davvero, Evola è apprezzato, ma i cui legami effettivi con Trump sono tutti da dimostrare. Troppo poco, francamente, per ipotizzare una sorta di “presidenza evoliana” da parte di Trump. Insomma, una tempesta in un bicchier d’acqua. Oggi, a differenza di qualche anno fa, quasi tutti i libri di Evola sono tradotti in inglese e bastano un paio di clic su Amazon per aggiornare la propria biblioteca con i testi del pensatore tradizionalista. Ma, certo, resta la perplessità di vedere un conservatore statunitense leggere i testi in cui Evola fa l’elogio della jihad e poco dopo spiega che gli Usa sono spiritualmente la stessa cosa del bolscevismo, e che, anzi, se il primo era più pericoloso materialmente, il secondo lo era di più culturalmente. Usa e Urss, scrive Evola sin dal 1929, sono “due branche di un’unica tenaglia” che sta per stritolare l’Europa (immagine, peraltro, ripresa qualche anno dopo da Heidegger, nel quale solo recentemente sono state scoperte influenze evoliane). Sarà un punto che Evola terrà fermo durante tutta la sua produzione, arricchendolo anzi, del dopoguerra, di riflessioni sul pericolo di una americanizzazione della cultura europea grazie alla tv e all’intrattenimento popolare.
Le cose non vanno meglio quando leggiamo in Evola delle aperture alla cultura americana, che riguardano però la beat generation e i vari scapigliati degli anni ’60 che, certo, non devono essere in cima alle simpatie di Bannon. Uno strettissimo spiraglio di interesse potrebbe semmai aprirsi rispetto a qualche articolo che Evola dedicò, tra gli anni ’50 e ’60, ad alcuni pensatori conservatori americani (questi sì potenzialmente nelle corde dei consiglieri dell’attuale amministrazione) per i quali egli ebbe giudizi tendenzialmente positivi: James Burnham, Erik von Kuehnelt-Leddhin e Barry Goldwater (su tutto ciò cfr. Giovanni Damiano, “Evola e l’America”, in Per un’altra modernità, Edizioni di Ar). Ma è un esercizio intellettuale puramente teorico, perché non crediamo certo che siano questi gli argomenti di cui si parla nella stanza ovale. Immaginare un asse Evola-Bannon-Trump è, come dicevamo, semplicemente un modo comodo, da parte della sinistra, per non pensare alla sfida che Trump pone, nonché ai propri colossali errori nel combatterle.
Adriano Scianca
2 comments
Scianca, tu sai che io ti ammiro, anche se ultimamente stai perdendo qualche colpo. Ma stavolta hai pisciatissimo fuori dal vasissimo. Informati meglio e poi ne riparliamo.
Il lato peggiore di questa storia non è rappresentato da chi cita Evola per denunciare il pericolo Trump ma da chi lo fa per giustificare un sostegno insensato ad un presidente Usa.
Jean