Roma, 7 dic – Gli ultimi censimenti statistici riportano che circa 15 milioni di residenti nella Federazione Russa sono di fede musulmana, il che fa dell’islam la seconda religione nazionale con una rappresentatività di oltre il 10%. Sono a larga maggioranza islamica le repubbliche caucasiche di Cecenia, Inguscezia e Daghestan così come molte popolazioni del sud-est quali tatari, baschiri, circassi, carachi, cabardi e balcari. Tutti gli stati nati a sud dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Azerbaigian) sono quasi totalmente musulmani e milioni dei loro cittadini vivono da immigrati sul territorio della Federazione Russia. Si stima che solamente nella città di Mosca si trovino oltre un milione e mezzo di immigrati di religione islamica.
Dall’incendio di Mosca alla russificazione forzata
Sono numeri imponenti, con i quali la Russia deve ovviamente fare i conti. Anche perché non si tratta di un fenomeno recente, come invece la massiccia presenza musulmana in Europa, ma bensì affonda le radici nell’antichità. L’islam arriva nel Caucaso già a metà del VI secolo con gli iraniani ed i turchi ottomani. Musulmani erano anche i tatari di Crimea che nel 1571 incendiarono Mosca. Proprio in seguito a questo evento iniziarono politiche di discriminazione degli islamici. Nel 1817 l’Impero Russo cominciò una campagna di conquista dei territori caucasici terminata con l’annessione di tutto il Caucaso Settentrionale e l’emigrazione di moltissimi musulmani nelle terre vicine controllate dall’Impero Ottomano e dalla Persia. Il processo di russificazione forzata di territori e popolazioni a tradizione islamica è proseguito durante tutto il periodo sovietico. Sotto il regime comunista inoltre l’islam, così come tutte le religioni, fu fortemente repressa in accordo con la politica dell’ateismo di Stato promossa da Stalin.
Prima guerra di Cecenia e stagione degli attentati
Il periodo post-sovietico si contraddistingue per la volontà di riconciliazione nei rapporti tra Stato, cittadinanza e religione. Ma a frenare questo processo negli anni ’90 arriva il terrorismo islamico. Le spinte secessioniste della Cecenia causarono l’intervento dell’esercito russo con lo scopo di ristabilire l’ordine. L’11 dicembre del 1994 le forze armate russe lanciarono un attacco missilistico su Groznyj, la più importante città cecena. L’allora ministro degli Esteri proclamò che sarebbe stata una guerra lampo e si sarebbe conclusa prima del 20 dicembre. In realtà la Russia si trovava in pieno caos post-sovietico e nonostante la superiorità di uomini e mezzi le forze regolari dell’esercito non riuscirono ad avere la meglio sui guerriglieri ceceni, molto più motivati e agevolati dalla conoscenza di un territorio quasi interamente montuoso. Il conflitto si chiuse nell’agosto del 1996 con la firma del cosiddetto “Accordo di Chasav-Jurt” che di fatto riconosceva l’indipendenza della cosiddetta Repubblica Cecena di Ichkeria.
Ma i problemi di Mosca con l’estremismo islamico erano solo all’inizio. La vittoria in Cecenia aveva galvanizzato i musulmani del Caucaso, forti anche del sostegno economico dell’Arabia Saudita, il cui obiettivo diventava quello di formare un’unica nazione islamica in tutto il Caucaso Settentrionale. Così cominciarono gli attentanti in Daghestan contro obiettivi militari russi e nel settembre del 1999 un contingente di oltre 1400 miliziani islamici arrivò dalla Cecenia con lo scopo di sostenere militarmente i separatisti locali. In contemporanea si aprì anche la stagione degli attentati terroristici nel cuore della Russia, da Mosca a Volgodonsk, che causarono circa 300 morti ed oltre mille feriti, tutti civili.
Così Putin ha riportato l’ordine
La risposta del neo primo ministro Vladimir Putin fu durissima. “Vi staneremo, vi daremo la caccia anche nei vostri cessi”, la famosa frase rivolta ai terroristi. E così fu. Al termine di un conflitto lungo, cruento e sanguinoso, con quasi 100mila morti e numerose violazioni delle leggi di guerra, l’esercito russo ristabilì il proprio controllo su tutto il territorio ceceno. Fondamentale per la vittoria russa fu anche la frammentazione del fronte indipendentista. All’inizio del conflitto il Gran Muftì ceceno Akhmat Kadyrov, che aveva combattuto nella prima guerra, decise di cambiare schieramento, seguito dal suo esercito personale di circa 5000 uomini. La sua motivazione era la sempre più forte e preponderante presenza di seguaci della dottrina wahabita proveniente da paesi esteri che avevano ormai trasformato il conflitto per l’indipendenza della Cecenia in una guerra di religione in nome dell’islam più fanatico.
Nel 2003 Kadyrov diviene presidente della regione cecena tornata fedele a Mosca. Sette mesi dopo viene ucciso in un attentato terroristico organizzato da ribelli separatisti ed è sostituto come presidente dal figlio Ramzan. A tutt’oggi è lui il leader incontrastato della Repubblica di Cecenia, in virtù anche del suo stretto rapporto con Vladimir Putin. L’aver trasformato una polveriera come la Cecenia in una regione tra le più fedeli al suo governo rappresenta il primo e sicuramente uno dei più grandi successi in politica interna di Putin.
Dal pugno di ferro al dialogo
Sconfitto usando il pugno di ferro il terrorismo jihadista, autore tra le altre cose di due attentati, quello al teatro Dubrovka e alla scuola di Beslan, rimasti impressi nella memoria collettiva dei cittadini russi per la loro bestialità, il rapporto di Putin con l’islam cambia decisamente registro. Nonostante il suo notorio orientamento favorevole verso la Chiesa Ortodossa, Putin è stato capace di instaurare una stretta collaborazione anche con le autorità religiose musulmane. Durante i suoi anni alla guida della Russia sono state aperte 7500 nuove moschee in tutta la Russia, tra le quali la più grande d’Europa inaugurata nel 2015 a Mosca alla presenza del presidente turco Erdogan e di quello palestinese Mahmoud Abbas. Tra le altre cose, nei suoi incontri con i leader di paesi islamici Putin è solito citare versetti tratti dal Corano.
Verso una spiritualità di Stato
La volontà del presidente russo è quella di riportare la spiritualità al centro della vita pubblica. Opporre la fede, sia essa cristiana o musulmana, al modello progressista e materialista occidentale. Dal canto loro le guide spirituali delle principali confessioni religiose garantiscono assoluta lealtà al Cremlino e alla Federazione Russa, riconoscendo l’importanza di un’identità nazionale condivisa a prescindere dalla fede religiosa di appartenenza. La Russia è riuscita a imporre il cosiddetto sistema degli “imam di Stato”, ovvero il riconoscimento e il controllo da parte delle autorità sui portavoce delle comunità islamiche locali. Ciò ha fatto sì che nel paese sia diffuso un islam piuttosto moderato e ben inserito nella società, di cui si sente parte integrante e non un corpo estraneo.
Da parte loro le istituzioni nazionali hanno sempre dimostrato rispetto e sensibilità nei confronti della religione musulmana. Recentemente il presidente del “Consiglio delle comunità musulmane mondiali” Ali Rashid Al-Nuaimi ha elogiato “l’esperienza della Federazione Russa, che ha ottenuto risultati reali in termini di adesione all’Islam ed allo stesso tempo di appartenenza alla patria” sostenendo che “i musulmani della Russia hanno il diritto di essere orgogliosi del raggiungimento della pace sociale presentando l’immagine dell’Islam moderato”.
Emblematica per capire la realtà dell’islam in Russia è la reazione alla pubblicazione da parte di Charlie Hebdo della vignetta con la caricatura di Maometto e la conseguente scia di attentati in Francia. Tutta la comunità islamica nazionale ha condannato gli attentati invitando i fedeli a non manifestare davanti le ambasciate francesi ed i pochi che ci hanno provato sono stati immediatamente arrestati dalle forze speciali. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha definito “inaccettabile uccidere persone ma anche insultare i sentimenti dei credenti, una cosa del genere non potrebbe mai accadere nel nostro paese”. La blasfemia è infatti considerata reato in Russia dal 2013, quando il collettivo globalista “Pussy Riot” profanò una cattedrale ortodossa a Mosca.
Inoltre con la riforma approvata a luglio viene inserito in Costituzione il riferimento alla fede spirituale in Dio come fondamento della nazione e il riconoscimento del matrimonio esclusivamente come unione tra un uomo e una donna, ottenendo così l’entusiastico sostegno non solamente della Chiesa Ortodossa ma anche delle altre confessioni religiose. Putin sa bene che i fedeli sono solitamente vicini a posizioni politiche conservatrici, come quelle di cui lui si fa portavoce, e che quindi rappresentano un bacino di consenso vastissimo, così senza abdicare al suo ruolo di paladino della Chiesa Ortodossa si sta guadagnando anche il consenso dei musulmani.
Una necessaria convivenza
D’altronde non è possibile ignorare il peso della comunità musulmana visti i suoi numeri in continua crescita. Ma è proprio questa espansione che a lungo andare potrebbe creare problemi di stabilità. Alcuni studi statistici danno come possibile una Russia nel 2050 con oltre il 30% di musulmani, mentre già si verificano alcuni problemi nel controllo degli imam in alcune aree di recente e veloce diffusione islamica come la Siberia, dove sono numerosi gli immigrati musulmani residenti per motivi di lavoro. L’islam in Russia è fenomeno autoctono e non allogeno come in Europa. La Federazione Russa è un’entità che per dimensioni geografiche, storia e rilevanza geopolitica ha una naturale visione imperiale (il mito della Terza Roma) e per essere tale non può prescindere da un certo multiculturalismo.
Multiculturalismo però che a differenza di quanto professato dai globalisti in Occidente è esaltazione e non cancellazione delle identità. Per fare un esempio pratico, a nessuno è mai venuto in mente di chiedere la rimozione dei simboli ortodossi, che si trovano in ogni edificio pubblico, in nome del multiculturalismo. Solo una Russia unita e capace di fare da ponte tra Occidente e Oriente, può sperare di competere veramente nello scenario geopolitico mondiale con Stati Uniti e Cina. Come il rapporto tra islam e Russia si evolverà nel futuro è un grande punto interrogativo. Alcuni analisti di orientamento conservatore teorizzano la possibilità di un accordo strategico tra mondo islamico e ortodosso in ottica anti-Occidentale e anti-liberale. Ma mantenere l’equilibrio interno e tenere lontani i fanatismi non sarà certo una sfida facile.
Lorenzo Berti
3 comments
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Come arrivò nel Caucaso l’islam nel VI secolo se Maometto visse nel VII ?
Signor Pacillo nel Caucaso come altrove Islam si e’ diffuso anche grazie ai maestri del sufismo non sopo attraverso guerre ,ma anche grazie ai maestri spirituali del sufismo e della spiritualità