Roma, 10 giu – Da tempo la crescente marginalità politica del G7 rischia di diventare insostenibile. Forse oggi siamo vicini al collasso di questa struttura? Nel recente incontro in Canada la tensione tra i vari leader è stata alta e su diversi temi sono nati differenti fronti: i giornali italiani non hanno mancato di sostenere che “da questo meeting Trump esce isolato”, ma ovviamente la questione è più complessa.
I motivi di discussione sono stati principalmente due (ci sarebbe anche altro a onor del vero, ma marginale): la questione dazi e il possibile ingresso o meno della Russia ai futuri G7. In generale gli schieramenti sembrerebbero vedere Trump da un lato contrapposto a Canada, Francia e Germania, con Giappone e Gran Bretagna che hanno tenuto una posizione vaga, probabilmente mirando ad accordi bilaterali e diretti a risolvere eventuali dubbi e senza il desiderio di esporsi troppo in questa occasione. Il primo ministro Italiano invece, alla sua prima partecipazione internazionale, si è ben barcamenato rispettando la formale fedeltà al fronte europeo, ma lasciando chiaramente intendere di vedere contenuti politici più interessanti nella proposta di Trump.
E’ bene capire che una istituzione internazionale deve la sua autorità al peso e alla condivisione del comune progetto degli Stati membri: va da sè che la riammissione della Russia è un modo rapido per restituire un minimo di importanza ad progetto morente come rischia di essere un G7 che ha membri sulla base di valutazione sensate in passato, ma che oggi non può davvero pensare di parlare al mondo non avendo tra i propri membri paesi come la Cina, l’India o la stessa Russia appunto.
Per molti aspetti anzi il vero G7 è quello accaduto, contemporaneamente all’evento in Canada, in Cina. Non solo Putin è stato premiato per “l’eccezionale contributo dato al progresso cinese”, ma si è mostrata una unità di intenti tra Cina e Russia che gli occidentali non sospettavano e che dovrebbero anche temere. Nello stesso meeting, ad esempio, si è discusso alla presenza di Rohani della questione nucleare iraniana. Temi che fanno ombra all’agenda scelta dal G7 liberal ospitato da Trudeau ricca di riflessioni sulla parità dei sessi o sul riscaldamento globale.
Il colpo finale alla completa inutilità politica del G7 occidentale lo ha però sferrato Macron che, di fronte alle (sacrosante) rimostranze di Trump a firmare un documento comune ha lasciato intendere che i rimanenti capi politici avrebbero potuto firmare comunque estromettendo gli Usa dalla ratifica. Un modo francamente ridicolo di fare la voce grossa perchè, se a questo G7 in sempre maggiore crisi di autorità vengono tolti anche gli Stati Uniti, il peso politico di questo consesso rischia di non essere troppo diverso da quello che può avere il circolo degli scacchi di Sasso Marconi.
Guido Taietti
Un occidente sempre più ai margini: il G7 conta ancora qualcosa?
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