Roma, 23 ago – “Mamma solo per te la mia canzone vola”? Che orrore! Siamo nei Paesi Bassi. In breve: prima era donna, ora si identifica non binaria. E’ rimasta incinta, ha un marito, ma non vuole farsi chiamare mamma. Solo genitore. Per il nascituro, sarà baba. E guai a chi dirà il contrario: è già in atto una battaglia legale.
“Non chiamatemi mamma”: la battaglia di Ryan
David Paul Ramharak-Peters e Ryan Ramharak sono regolarmente sposati e aspettano un bambni: Ryan, però, nonostante sia biologicamente donna (se è rimasta incinta, duole farlo notare, ma è così) si identifica come non binaria dunque è per lei/lui/loro di primaria importanza che non si riferisca a … lei/lui/loro (che fatica!) come mamma. Giammai! La coppia anzi sta iniziando una battaglia legale perché non vogliono che l’individuo che tiene in grembo il figlio sia definito sui documenti madre. Una discriminazione bella e buona, a parer loro.
Le parole sono importanti …
Siamo Paesi Bassi, dove – ci tiene a farcelo sapere EuropaToday – “il quattro per cento della popolazione si identifica come non-binaria, cioè non si sente né maschio né femmina”. “Non mi sento né la madre né il padre, ma il genitore” avrebbe detto Ryan. Per lui/lei/loro “le parole sono importanti”, citando Nanni Moretti. “Riguarda il modo in cui ti rivolgi nel mondo esterno. Ad esempio, quando vai a iscrivere tuo figlio a scuola. Quindi, è preferibile avere documenti che affermino che sei il genitore”, dice. La persona gestante (va meglio così? Chissà) dice: “Ho notato l’importanza di un tale certificato. Se viene registrato in modo errato dall’inizio, dopo diventa tutto un casino”.
“Mio figlio mi dovrà chiamare baba“
Il marito Ramharak-Peters è meno problematico, lui si identifica come uomo e quindi gli sta bene di essere come padre nel certificato di nascita del nascituro. Ma c’è di più: la coppia ha anche scelto come il bimbo dovrà chiamare la non-mamma: “Ryan sarà baba e David sarà papà”. E Ryan ha detto pure di sperare ottenere il genere X sul passaporto invece di essere descritto come maschio o femmina. “Spero che la X mi aiuti in seguito a registrarmi come genitore invece che come madre”, dice ancora. Tutta questa fatica e queste battaglie per identificarsi in una X? Cose loro. Vale la pena far notare a questi gender warrior, gli stessi che sostengono che l’amore è sempre amore non importa da chi viene, che loro figlio per una gran parte dell’infanzia avrà ben altre preoccupazioni che imparare a dire baba al posto di mamma. Sarà già difficile, e per molto tempo, fargli capire che le caccole non sono commestibili. La quotidianità di una famiglia è prassi e non favola e tutte queste pretese bislacche non hanno assolutamente niente a che fare col benessere di chi verrà al mondo. Semmai è il contrario.
Ilaria Paoletti
2 comments
E se li chiamasse con un semplice “ué” ?
Finalmente un poco di chiarezza!
per curiosità i genitori di un baba sono a loro volta dei bibi, bobi, bubu o che altro .. ?