Tel Aviv, 18 mar – Gli israeliani vogliono la linea dura. È questa una delle chiavi della vittoria di Benjamin Netanyahu alle elezioni israeliane. Il Likud conquista 30 dei 120 seggi della Knesset; i Sionisti uniti, cioè laburisti più i centristi di Tzipi Livni, 24. Terzi, con 14 seggi, i partiti arabi, uniti per la prima volta in un’unica lista.
La sinistra, partita ampiamente favorita nei sondaggi, ha quindi subito una cocente sconfitta mentre “Bibi” – il cui cavallo di battaglia negli ultimi giorni di campagna elettorale è stato “con me presidente non ci sarà mai uno Stato palestinese” – si gode il suo trionfo.
Giù dal podio, in quarta posizione si attestano i centristi di Yar Lapid con 11 deputati, seguiti dagli altri centristi di Kulanu (10 seggi), dalla destra nazionalista dei coloni di “Focolare Ebraico” di Naftali Bennet (8 seggi), dagli ultraortodossi sefarditi di Shas e da quelli askenaziti di United Torah Judaism (7 a testa) e ancora dall’altra destra di Yisrael Beitenu, guidata da Avigdor Lieberman (6). La sinistra del Meretz arretra a 4 seggi (2 in meno).
Con questi numeri in Parlamento, Netanyahu (al suo quarto mandato, il terzo consecutivo: nessuno in Israele ha governato quanto lui) può sperare di avere dalla sua 67 deputati su 120 per formare un governo fortemente sbilanciato a destra.
Per quanto l’ago della bilancia siano i centristi di Kulanu, che già in campagna elettorale si erano detti disposti a partecipare a un governo Netanyahu, l’influenza delle componenti religiose e fondamentaliste sul nuovo esecutivo sembra decisamente in crescita rispetto a quello uscente.
La linea sembra insomma chiara: politica apertamente anti-palestinese e chiusura a riccio contro le minacce internazionali come Isis e nucleare iraniano, anche a costo dell’isolamento, dato che i rapporti fra Obama e il premier israeliano sono ai minimi storici.
Per i palestinesi si annunciano tempi sempre più duri.
Giorgio Nigra
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