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Come hanno montato il caso Finkielkraut: un testimone oculare racconta

by La Redazione
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Parigi, 18 feb – Traduciamo qui, con il consenso dell’autore, il lungo status che il giornalista franco-ungherese Ferenc Almássy ha pubblicato in seguito all’alterco del filosofo Alain Finkielkraut con alcuni esponenti dei gilet gialli, del quale è stato testimone oculare. La foto del filosofo che riproduciamo è stata scattata da Almássy stesso – IPN

A proposito del caso Finkielkraut: io ero lì al momento dei fatti, e lì ho realizzato questa foto (da noi qui riportata – ndr). Sono sbalordito dal clamore che ha preso questa storia, di fatto relativizzata dal principale interessato. Ma l’occasione era troppo bella per poter sparare sul movimento dei gilet gialli, passandoci sopra uno strato di antisemitismo e cercando di gettare discredito su un movimento popolare, fino a inventare degli insulti (“sporco ebreo”) come ha fatto il portavoce del governo. Il modo in cui il sistema – come viene comunemente chiamato, per facilità – evidenzia questo breve e delicato alterco è terrificante. Essere un testimone dal vivo della creazione di una tale manipolazione su larga scala è, tuttavia, eccitante e informativo.

Che cosa è successo, dunque?

Nella folla eterogenea dei gilet gialli, un pugno di persone ha riconosciuto il filosofo che sembra passasse di là. Abitando nel quartiere. Come lui stesso ha spiegato, alcuni hanno avuto parole amabili per lui, un altro gli ha proposto di aggiungersi ai manifestanti. Ma qualche altro lo ha insultato, restando peraltro su un registro molto neutro e non molto doloroso, se parliamo di insulti propriamente detti: un “grossa merda” non mai ucciso nessuno. Poi è accaduto il famoso episodio dell’uomo con la kefiah [in seguito identificato come un islamista già seguito dalle forze dell’ordine – ndr] e del suo grido “la Francia è nostra”. Poi, le grida “Palestina”, “sionista”, “fascista” e altre urla di scherno non così cattive, che facevano riferimento a qualcuna delle sue uscite molto mediatizzate.

Finkielkraut, visibilmente preso alla sprovvista, è passato senza agitazione o paura dietro la linea di polizia, guardando la scena, al contempo sorpreso e sgomento. Fine dell’evento. Alcuni manifestanti, con e senza giubbotto giallo, si sono allontanati. “Non so nemmeno chi fosse, ma ho sentito ‘facho’ è stato abbastanza per me, gli hanno messo pressione, haha!”, dice un trentenne vestito in jeans a un suo amico, birra alla mano. Un altro, in live con il suo cellulare, si diverte per aver fatto fuggire Luc Ferry [ex ministro che ha recentemente auspicato una dura repressione contro i gilet gialli – ndr]…

Di cosa si è trattato?

Certamente non di un dramma degno di un tale scandalo nazionale. È una breve aggressione verbale a un filosofo controverso da parte di alcuni estremisti a margine di una manifestazione di rabbia sociale. Un po’ di tempo prima, Vincent Lapierre [noto giornalista proveniente dalla cerchia di Alain Soral – ndr] è stato disturbato dagli antifa, e la polizia l’ha forzatamente allontanato e gli ha impedito di tornare alla manifestazione. Qualche settimana fa, a Tolosa, è stato persino picchiato. Altri giornalisti freelance e mainstream sono stati picchiati, insultati o espulsi dai gilet gialli – o da altri.

L’avvenimento è nei fatti rivelatore di una cosa: il conflitto israelo-palestinese si è auto-invitato persino in questo movimento sociale francese. Tra i manifestanti, in particolare, c’erano alcune bandiere della Palestina. Di questa importazione del conflitto israelo-palestinese, Alain Finkielkraut è uno degli artefici, oggettivamente. Per non parlare del fatto che alcuni degli immigranti o figli di immigrati che lo odiano e glielo comunicano con veemenza sono forse in Francia grazie a lui, indirettamente, a causa del suo grande lavoro sull’anti-razzismo, uno strumento per la sottomissione politica a beneficio del dogma immigrazionista e cosmopolita.

Considerare quegli insulti (senza che io vi trovi qualcosa che possa essere descritto nel senso stretto dell’antisemitismo, almeno senza fare un processo alle intenzioni!) urlati a un filosofo controverso da una manciata di persone più grave degli occhi persi, le mani spappolate, le azioni illegali delle autorità e del potere, i giornalisti picchiati ed espulsi da teppisti estremisti, i casseur identificati ma lasciati liberi di agire, ma anche la deriva autoritaria della Repubblica, i dirottamenti e la distruzione del servizio pubblico, l’immigrazione massiva, il disfacimento del diritto del lavoro e la precarietà generalizzata, la svendita della sovranità e del patrimonio nazionale, l’americanizzazione, la morte delle campagne, l’agonia della Francia periferica … è assurdo pericoloso e scioccante.

La strumentalizzazione mediatica e politica

Lo sfruttamento mediatico e politico di questo non-evento mostra bene la volontà del potere: continuare a screditare questo movimento con tutti i mezzi, compreso l’accostamento più abietto. E questo d’altra parte ha un effetto terribile: è benzina gettata sul fuoco e contribuisce a scavare il divario già ampio tra i quasi insorti dei gilet gialli e una casta incapace – per sua stessa ammissione – di capire cosa sta succedendo. Non c’è riconciliazione possibile per degli umanisti o persone che non si sono mai interessate agli ebrei con un potere che li opprime finanziariamente e li tratta come antisemiti – certamente la più grave delle condanne morali nelle nostre società occidentali dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Fortunatamente, Alain Finkielkraut non si è fatto nulla. Nessuno può desiderare un linciaggio. Una società civile non può tollerare lo spirito del branco, specialmente contro un singolo uomo. Sorvolo sul fatto che ciò accade quotidianamente in Francia da molti anni, a molti francesi. In questo caso, Alain Finkielkraut non è stato visto come ebreo, ma come rappresentante di una élite responsabile dei mali attuali. Questo antielitarismo, Finkielkraut l’ha colto con esattezza. E in questo contesto, credo sinceramente che la motivazione principale delle poche persone che sfidavano aggressivamente il filosofo non era altro che trasmettere il messaggio di questa rabbia verso il “sistema”, “le persone famose”, “e queste “élite che ci uccidono lentamente”, come mi hanno spiegato alcuni gilet gialli e pacifici lontano dal corteo.

Questa rabbia è quella che ti permette di farti finalmente sentire, al prezzo di urla e furia. È la rabbia delle persone senza potere, che non si sentono né rappresentate né ascoltate, né rispettate né difese, malgrado già quattordici settimane di continua mobilitazione senza precedenti. Molti gilet gialli si sentono traditi, poiché hanno creduto in Macron, nei filosofi moralisti, nella necessità di stringere la cinghia. C’è una certa rabbia di cuckold che si esprime – il giallo non è forse il colore dei cornuti. Ma come diceva un tipo, “il cornuto è sempre un bravo ragazzo”. Un bravo ragazzo che abbiamo spinto quasi fino al limite. Perché per il momento, il bravo ragazzo si è trattenuto, condanna la violenza, le frasi indegne e annuncia le sue dimostrazioni. Ma fino a quando?

Ferenc Almássy

 

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