Londra, 18 mar – Alla London School of Economics, donne da una parte e uomini dall’altra: a separarli una sorta di paravento alto più di due metri. Tutto ciò per un banchetto organizzato dalla “Islamic society” dell’ateneo, che ha peraltro provveduto a fornire due numeri di telefono differenti per l’acquisto dei biglietti, destinati a servire l’uno i partecipanti di sesso maschile, l’altro quelli di sesso femminile. L’evento, che si è tenuto vicino all’università presso la “Grand Connaught Rooms”, ad Holborne, con biglietti al costo di venti sterline, ha riscosso molto successo in termini numerici, con il sold out dei tickets disponibili. Questo, però, non ha ovviamente evitato le polemiche e distolto l’attenzione dei giornali sul singolare episodio: “Donne segregate al banchetto dell’Islamic society della LSE”, ha titolato, ad esempio, il Times due giorni fa, non unico ad occuparsi della questione, segnalata ad esempio anche dal Daily Telegraph. Nessun commento, però, è arrivato dai membri dell’Islamic society, mentre un portavoce della London School of Economics ha sottolineato che si trattava di un evento privato di un ente legalmente separato, anche se ha fatto presente che l’ateneo sta affrontando la questione con l’Islamic society e con l’Unione degli Studenti.
Quest’ultima, attraverso le dichiarazioni della segretaria generale Nona Buckley-Irvine, ha difeso l’iniziativa degli studenti di fede musulmana attraverso un ragionamento abbastanza sui generis: “È antifemminista dare lezioni alle donne su ciò che dovrebbero fare e pensare, incluse le donne musulmane”. L’atmosfera della serata, racconta, era “rilassata” e la divisione “si notava appena”. “Se un gruppo ha piacere ad organizzarsi in modo conforme alle sue convinzioni religiose, culturali e personali, con il consenso di entrambi i sessi, non c’è nulla da discutere, io non ho problemi”, ha osservato la rappresentante degli studenti, aggiungendo poi: “Non tocca a me decidere cosa è giusto o sbagliato per la Islamic society e loro sono tra i più inclusivi con i quali io abbia mai lavorato”.
Il punto, però, è che femministe e progressisti, che “in casa” fanno la voce grossa contro ogni forma di discriminazione, distorcendone il senso fino ad includere nel termine ogni elemento di differenziazione sessuale, giungendo appunto agli estremi dell’ideologia gender, quando si tratta di religioni allogene diventano invece agnellini, chiudono un occhio, in conflitto con se stessi nel rischio di cadere nel razzismo, altro incubo che infesta le notti dei fan del politicamente corretto. “La separazione? Si notava appena”, risponde infatti la rappresentante degli studenti. Ipocrisia allo stato puro. È chiaro che non sta all’Europa giudicare o intervenire sull’Islam e i costumi dei vari paesi islamici, ma tocca invece a noi, proprio in nome di quella stessa autodeterminazione, decidere l’approccio nei confronti di episodi simili che avvengono all’interno dei nostri confini.
È chiaro che, osservando l’accaduto dalla prospettiva dei tanto sbandierati diritti umani, ci troviamo di fronte ad un grosso cortocircuito della mentalità progressista: è indubbio che un episodio simile dovrebbe essere considerato come una violazione, senza se e senza ma. Ecco perché il fioccare, a suo tempo, di svariate dichiarazioni islamiche dei diritti umani a dimostrare il relativismo di quella che invece pretende di essere una sorta di tavola della legge universale, che impone nel diritto internazionale come verità assoluta e modello unico di riferimento la cultura liberale e liberista. Infine, è necessario considerare che, decidere di vietare o di consentire, presuppone un’identità differente da quella eventualmente espressa dal comportamento vietato o consentito: se l’immigrazione di massa non verrà fermata, semplicemente non ci sarà più questa identità e, dunque, nessun dibattito sull’argomento, poiché quella identità scavalcherà la nostra, qualunque essa sia, e si imporrà come maggioritaria.
È importante notare, quindi, che un discorso simile non esclude l’esistenza di minoranze ma richiede, soprattutto, un’identità forte e maggioritaria che faccia da contraltare. È essenziale, infatti, tenere a mente che non può esistere comunità in senso stretto senza condivisione di tradizioni, usanze, cultura, lingua, storia. Se “integrare” è, perciò, annullare le differenze, allora ciò vuol dire anche cancellare la dimensione comunitaria, sia maggioritaria che minoritaria. Dunque, non vietare ma, allo stesso tempo, non accettare che un’identità minoritaria detti le regole nella vita pubblica. E legiferare di conseguenza. Approccio ‘imperiale’. Lo scandalismo a buon mercato serve solo alla propaganda occidentalista.
Emmanuel Raffaele