Tokyo, 4 giu – Il padre lo aveva abbandonato per punizione in un bosco dell’isola di Hokkaido e le squadre di soccorso avevano perso la speranza di trovarlo vivo. Dopo una settimana però Yamato Tanooka, bambino giapponese di 7 anni, era ancora vivo e vegeto, nascosto in un hangar usato dall’esercito nipponico per le esercitazioni militari. Era riuscito da solo a scalare una montagna di mille metri e a trovare un rifugio sicuro, in attesa che qualcuno venisse a prenderlo. Yamato stava aspettando in silenzio, non piangeva, non tremava.“Era lì, vestito con la maglietta nera, i calzoncini blu e le scarpe da ginnastica rosse della segnalazione e si è identificato da solo”, ha detto uno dei soldati che lo ha trovato. “Mi ha detto che era affamato e gli ho dato la mia razione: pane, palline di riso e acqua”. I genitori potrebbero essere denunciati per abbandono di minore, ma nessuno in Giappone parla di questo. Tutti hanno in bocca la storia incredibile di questo bambino che in un territorio impervio, con temperature che di notte sovente scendono sotto zero, ha compiuto un’impresa incredibile.
Ma quella di Yamato non è semplicemente una storia commovente, un’avventura curiosa che stuzzica i cronisti e strappa sorrisi ai lettori. Non si tratta neppure di una mera vicenda singolare, pur evocando illustri predecessori giapponesi come Hiroo Onoda, che dopo quasi trent’anni dalla fine della seconda guerra mondiale fu arrestato nell’isola filippina di Lubang perché credeva che la guerra non fosse ancora finita. E forse non lo era sul serio, forse Hiroo Onoda, consapevole o meno, stava sul serio incarnando lo spirito giapponese fino in fondo. Fu un esempio di eroismo e virtù, ma per le cronache non era altro che il protagonista di una storia surreale. Anche Yamato per molti non sarà altro che questo, un simpatico bambino che ha compiuto una piccola impresa.
Eppure no, c’è di più. Yamato è un destino scritto nel nome, non solo perché significa esattamente “Giappone” e perché evoca la più grande nave da battaglia mai costruita. Lo Yamato-damashii, lo spirito di Yamato, è un’allocuzione che indica il carattere coraggioso e indomito del popolo nipponico. Incarna cioè la capacità e la fermezza nell’affrontare impegni e doveri soprattutto di fronte a gravi pericoli, la consapevolezza di essere una stirpe guerriera che non può limitarsi a sopravvivere accettando passivamente ciò che il fato ha scritto, ma deve scriversi il proprio destino affermando virtù, fortuna e onore. Non è quindi una semplice storiella quella di questo bambino giapponese, è un esempio per tutti i nostri figli viziati, incapaci di affrontare la vita. Ed è un esempio anche per tutti noi, spesso bloccati da paure e inganni di fronte ai tanti veli di Maya che ci tessiamo da soli. Perché il filo spinato in cui ci imbattiamo è quasi sempre rivolto in fuori. Ha qualcosa di Perseo questo bambino giapponese, dell’eroe del mito che non si lascia pietrificare dalla Gorgone. Ma Yamato ci insegna soprattutto che il caso non esiste e che lo spirito di una stirpe millenaria non muore così facilmente, non ci sono bombe o videogiochi che tengano. Bentornato Sol Levante.
Eugenio Palazzini
4 comments
“3 popoli – una guerra”
Spero di vivere abbastanza e di poter contribuire affinché io possa vedere nuovamente questo stesso spirito rinnovare e rinsavire gli italiani e tutti i popoli dell’Asse.
Sottoscrivo. Teniamo la fiaccola accesa, a qualsiasi costo.
…non sono affatto d’accordo. I genitori del bimbo sono da ricovero se non da TSO per quanto riguarda il resto il destino nel nome etc etc sono cazzate. Vorrei vedere se fosse caduto in burrone o fosse morto di freddo che avremmo detto che è morto lo spirito dei Samurai?
@Dino Rossi:
Vero, l’articolo è abbastanza retorico, ma d’altra parte, dopo i fiumi di inchiostro strappalacrime versati da Corriere, Repubblica, e Tg vari, che USANO le storie di bambini per potare avanti determinate politiche… pensi solo a casi come quello del padre con bambino “sgambettato” dalla cronista ungherese e poi felicemente approdato in Spagna “per vivere una vera vita sognando di allenare una squadra di calcio” gente che, a sentir loro, “incarna il vero spirito dell’Europa” Oppure pensi al portavoce della Commissione UE, il quale disse che Conchita Wurst, il travestito/dragqueen/whatever che vinse l’Eurovision 2014 era “LA VOCE DELL’EUROPA” (!!!) Direi che un po’ di retorica anche sull’altro piatto della bilancia ci può stare.