Damasco, 27 mag – Non ci vuole granchè, al netto di ogni ovvia considerazione morale, a farsi saltare in aria in mezzo a centinaia di ragazzine accorse al concerto di una popstar. Ben diversa è la questione quando di ritrovi a dover combattere contro le truppe d’elite di un esercito dell’esercito siriano, temprato da più di sei anni di terrificante guerra civile. Lo sanno bene i miliziani dell’Isis che, nella parte orientale della provincia di Aleppo, da diversi giorni sono costretti a rinculare di fronte alla spinta della Forza Tigre, che sta avanzando verso Tabqa, per prendere parte all’assalto finale a Raqqa, semi-assediata dalle Syrian Democratic Forces, a maggioranza curda, che con il Governo di Damasco hanno da mesi trovato un modus vivendi la cui efficacia si vedrà solo al termine del conflitto. E lo sanno altrettanto bene i loro compagni d’armi di un altro quadrante, quello situato a sud di Palmira, messi dapprima sulla difensiva e poi in rotta dal V Corpo d’Armata dell’esercito siriano, che ha finalmente ripulito dalla presenza dei terroristi di Al Baghdadi il saliente che si spingeva fino alla periferia di Qaryatayn, cittadina situata fra Damasco e Homs. In quest’ultimo caso, le bande dello Stato Islamico sono state pesantemente colpite dai bombardamenti aerei, mentre cercavano di fuggire verso nordest, ovvero verso Deir Ezzor o Raqqa, attraverso il deserto siriano.
Da quelle parti i gessetti colorati e Imagine di John Lennon non sono sufficienti a combattere i tagliagole dell’Isis, e hanno scelto strumenti forse meno nobili, ma sicuramente più efficaci, per impartire loro una severa lezione. Tutte le strade che collegano Palmira alla Capitale sono state finalmente riaperte, dopo tre anni, e le operazioni militari dell’esercito siriano sono tutt’ora in corso, perchè se uno degli obiettivi è Raqqa, la capitale del cosiddetto Stato Islamico, l’altro è la fine dell’assedio di Deir Ezzor, la cui guarnigione resiste eroicamente contro preponderanti forze nemiche, e proprio fra mercoledì e giovedì ha dovuto respingere uno degli attacchi più duri che abbia mai subito. In Siria altro non resta, ai jihadisti dell’Isis, se si esclude un fazzoletto di terra situato – curiosamente, ma non troppo – al confine con Israele, sulle pendici del Golan.
L’avanzata delle forze fedeli al Presidente Assad, formate da sciiti e da sunniti, da arabi e da drusi, dimostra che esiste ancora, e nonostante un lustro abbondante di propaganda contraria, una Siria forte ed unita che rifiuta le logiche confessionali dei terroristi finanziati da Turchi, Sauditi e alleati vari. E’ una avanzata su tutti i fronti, che sfrutta la tregua imposta dai Russi in alcune regioni del Paese per eliminare i barbari di Al Baghdadi, asserragliati in alcune roccaforti nell’est della Siria, e costretti alla fuga anche nel confinante Iraq, in cui le milizie sciite – che sostanzialmente rispondono a Teheran e al generale dei Pasdaran Qassem Soleimani – stanno combattendo da mesi per impedire che la presa di Mosul da parte dell’esercito iracheno possa rafforzare le difese islamiste in Siria.
Se questa situazione stona con le dichiarazioni rilasciate da Donald Trump in Arabia Saudita, il problema sta unicamente nella visione distorta che il Presidente Usa ha della situazione in medio oriente, perchè proprio gli sciiti sono fra quelli che più attivamente hanno combattuto, e combattono, contro l’Isis. E quando sarà il momento della resa dei conti con lo Stato Islamico di Al Baghdadi, si vedrà chi davvero ha dato il sangue per difendere la Siria, l’Iraq e il resto del mondo da questi fanatici che hanno sulla coscienza centinaia di vite europee, fra Bruxelles, Nizza, Parigi e Manchester (per limitarci ad alcuni casi più eclatanti), vite strappate con attentati vigliacchi contro civili inermi. Attentati che possono scalfire il morale di chi non ha il coraggio di opporsi, ma che nulla possono contro un popolo che ha deciso di non arrendersi, e di combattere a viso aperto questa barbarie.
Mattia Pase