Roma, 24 gen – Le ingerenze – o per meglio dire, i diktat – del politically correct nel mondo dei videogiochi sono all’ordine del giorno ormai da anni. E’ arcinota la battaglia delle femministe che si battono perché le eroine dei videogiochi siano concepite con fisicità meno provocanti, più “realistiche” (leggi: grasse), o affinché vengano creati personaggi che rispettino i criteri dell’intersezionalità tanto cari al mondo lgbt. Queste battaglie sul nulla cosmico riescono spesso a tenere in scacco le grandi case di produzione di videogiochi, che devono sottostare ai ricatti morali delle associazioni femministe o lgbt, pena il ricevere la lettera scarlatta dell’omofobia o del sessismo.
Ad esempio, gli sviluppatori di Assassin’s Creed Odyssey hanno dovuto fare ammenda perchè nel loro ultimo Dlc (un contenuto aggiunto della storia principale, scaricabile online) i giocatori sono “forzati” ad avere una storia sentimentale di natura eterosessuale. Infatti, durante il corso del gioco, il personaggio principale ha – orrore! -una relazione con un membro del sesso opposto e da cui nasce un figlio.
Ma ciò è in contrasto con una delle promesse fatte da Ubisoft Quebec riguardo la possibilità di poter scegliere il proprio orientamento sessuale in un gioco di ruolo. Il che ha fatto infuriare i gamers lgbt, che non hanno tardato a esprimere il loro dissenso e a mettere in movimento la macchina della vergogna inondando il sito e i social della Ubisoft di proteste. Il Ceo della casa di produzione ha dovuto scusarsi all’istante, assicurando gli irosi alfieri dei diritti gay che lo staff Ubisoft “ha letto tutte le vostre lamentele e ne fa tesoro”, descrivendo la situzione come “un’esperienza formativa”.
Cristina Gauri