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Le stragi di Volgograd: il cavallo di troia del wahabismo

by La Redazione
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terroristiVolgograd, 8 gen- Dopo dieci giorni, dalle stragi compiuti in questa città, cala l’oblio dei media occidentali  Il 29 dicembre scorso, Oksana Aslanova, ventisei anni, si fa esplodere all’ingresso della stazione ferroviaria della ex Stalingrado provocando la morte di almeno 17 persone e il ferimento di altre 40. Il giorno dopo, nella stessa città, un uomo fa brillare 4 chili di esplosivo in un filobus. Risultato: 17 vittime e una quarantina di feriti.

A chi giovano, però, due attentati tanto efferati, proprio quando Vladimir Putin cercava di rasserenare il clima?

Sicuramente qualcuno vuole che il braccio della legge colpisca duro, per far sfoggio di vittimismo. L’avvertimento era stato lanciato. Il terrorista ceceno Doku Umarov aveva chiamato alla guerra santa tutti i musulmani di Russia contro le Olimpiadi invernali di Sochi definite: “Una danza satanica sulle ossa dei nostri antenati”.

Ogni giorno, però, dai media è propinato lo steso ritornello. Il popolo ceceno lotta per la sua indipendenza. Il nuovo Zar Putin non vuole perdere il controllo sui ricchi giacimenti caucasici.  Insomma, Doku Umarov è un novello Giuseppe Mazzini. Il suo Emiro una Repubblica Romana in salsa islamica.

Ma poi di quali musulmani parla Umarov? Il Gran Muftì della Russia, Talgat Tajuddin, ha precisato che “i musulmani russi non hanno nessuna relazione con i terroristi ceceni”.  A questo punto manca un dettaglio da non trascurare: Doku Umarov è un musulmano wahabita. È bene spiegare bene cos’è il Wahabismo. Una corrente di pensiero integralista islamica, che riesce ad affrontare positivamente lo spinoso problema del rapporto con la Modernità occidentale: rifiuto puramente teorico e ’in casa propria’, ma cooperazione pratica e reale nella ‘politica estera’. La sua roccaforte: l’Arabia Saudita.

Ma, cosa accomuna una visione dell’Islam nata nella penisola Arabica con i musulmani del Caucaso?

Qualcuno parla di oleodotti, altri pensano, da buoni marxisti, allo sfruttamento di un territorio ricco di materie prime. Purtroppo, però, ben pochi colgono l’importanza e il significato di una Repubblica Islamica nel cuore del Caucaso. In sostanza, l’Emiro ceceno diventerebbe un’enclave islamista legata a doppio filo con i Sauditi e non solo. Si tratta di un paradossale sofisma. L’Arabia Saudita è amica degli USA, gli Stati Uniti sono alleati di Israele, quindi Israeliani e Sauditi sono quantomeno cobelligeranti. Nord Africa, Siria, Iraq, Iran, non credo servano altri esempi.

Se qualcuno pensasse che queste argomentazioni sono un delirio complottista, basterà citare Samuel Huntington. Per il noto politologo americano “Il vero problema per gli Stati Uniti non è rappresentato dal fondamentalismo islamico, ma dall’Islam. Perciò, se l’Islam è il nemico strategico degli Stati Uniti, il fondamentalismo islamico può diventare un alleato tattico. Questa teoria è stata d’altronde applicata in Afghanistan, nei Balcani, in Cecenia, in Libia, in Siria”. Se volessimo rispolverare argomentazioni antiamericane, il materiale, certo, non mancherebbe. Ma, forse, si tratta solo di eterogenesi dei fini. Ossia, come affermava Gian Battista Vico: Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni, ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch’essi uomini si avevan proposti”.

Salvatore Recupero

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