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Nuova via della Seta: quel treno geopolitico che l’Italia non può perdere

by La Redazione
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cina nuova via della setaRoma, 21 mag – Si è appena concluso il forum sulla “Nuova Via della Seta” promosso dal presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, per ufficializzare il titanico progetto di unificazione infrastrutturale del continente euroasiatico. Parliamo di un’iniziativa, che punta a connettere più del 65% della popolazione mondiale distribuita su una superficie geografica di circa il 35% del globo. Investimenti per oltre 1000 miliardi di dollari, sostenuti principalmente dalle banche cinesi e dai fondi creati al bisogno, a cui si sono oltretutto aggiunti appena adesso 115 miliardi provenienti da altri contributori. La sinergia fra Russia e Cina in questo senso è frutto della miopia americana, che ha realizzato il grande incubo delle élite anglofone fin dal crollo dell’impero napoleonico: un blocco euroasiatico di terra che non fosse possibile strangolare tramite il controllo dei mari.

One belt, one road, come recita il pomposo ma evocativo nome dato a questa iniziativa senza precedenti degni di nota nella storia umana. Un progetto geostrategico che ha avuto nell’inaugurazione della rete ferroviaria Yiwu – Teheran (10.399 km attraverso Cina, Kazakistan, Turkmenistan ed Iran) il suo preludio. Questo progetto mira, attraverso lo sviluppo economico, il lavoro diplomatico e la diretta collaborazione con paesi a maggioranza etnica turcofona, a congelare la conflittualità nella provincia di frontiera dello Xinjiang, riducendo l’influenza che hanno sulla popolazione (musulmana ovviamente) determinate tendenza salafite anche abilmente orchestrate e sfruttate dall’intelligence americana in chiave anti-cinese. Già in questo momento le più importanti multinazionali tedesche (BMW e HP in particolar modo) spediscono i loro prodotti in treni merci diretti da Duisburg a Chongqing (col vantaggio di un tragitto che dura solo due settimane, invece dei 30-40 giorni via mare), mentre numerosi paesi occidentali hanno clamorosamente voltato le spalle agli americani e hanno aderito all’AIIB, il fondo d’investimenti cruciale per la Nuova Via della Seta. Interessante notare come Gentiloni sia stato l’unico leader di un paese del G7 a partecipare all’evento, e se si capisce la posizione strategica dell’Italia nel Mediterraneo la cosa non stupirà di certo. Certamente, quando ha spiegato che sarà la Cina ad investire nei porti di Genova e Trieste, non ha brillato per una strenua difesa degli interessi nazionali, ma il concetto è chiaro a chi non sia accecato: l’Italia deve partecipare, oppure sarà tagliata fuori dal mondo multipolare che sta nascendoLa Cina è un treno che non si può perdere. Lo sanno bene i paesi Mediorientali che stanno stringendo numerosi accordi economico-commerciali e di cooperazione internazionale con Pechino e lo sa bene l’Italia che con la Cina ha instaurato non solo una profonda cooperazione a livello culturale e commerciale, ma si prepara anche a operazioni triangolari in Africa, continente in cui gli interessi cinesi sono piuttosto forti. E questo in modo del tutto aideologico, prescindendo dal fatto che il modello politico-economico-sociale cinese ripugna alla sensibilità dei più.

Certamente, come non ci stancheremo mai di ribadire, occorre per la nostra partecipazione al mondo multipolare un ripensamento di paradigma, il che comporta la fine dell’ideologia della scarsità (marginalismo ed ambientalismo), in particolare per quanto riguarda le risorse finanziarie. Può scarseggiare tutto, ma non di certo la moneta necessaria a finanziare la riconversione infrastrutturale del nostro Paese per adeguarla alle epocali sfide del 21esimo secolo. Non basterà un Gentiloni che va ad elemosinare due spicci dai cinesi, ma un governo di patrioti che esca dall’euro, blocchi a tempo indeterminato gli investimenti diretti esteri ed imponga un regime strutturale di repressione finanziaria per la sostenibilità di quel vasto programma di investimenti pubblici in disavanzo di cui abbiamo bisogno come l’aria. Per riassorbire la disoccupazione, per abbattere la pressione fiscale e, soprattutto, per fare dell’Italia una nazione sana e moderna, in cui tanto per fare un esempio il trasporto merci su gomma sia considerato finalmente un’eccentrica e costosa usanza di un passato remoto.

Matteo Rovatti

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