Roma, 13 feb – L’11 febbraio è morto, all’età di 69 anni, il fumettista giapponese Jiro Taniguchi, per tutti gli appassionati “Jiro”. Era nato a Tottori, il 14 agosto 1947. Era noto per la sua estrema versatilità tematica ma, anche e soprattutto, per il saper coniugare sapientemente una narrazione profondamente nipponica al gusto e allo storytelling del fumetto d’autore europeo, soprattutto francese ( e, infatti, la Francia ha rappresentato un po’ una sua seconda casa ). Attivo sin dagli anni ’70, è tuttavia negli anni Novanta che raggiunse la piena maturazione come autore e come fumettista. Concentrato più sulle “graphic novel” ( prendendo in prestito un termine più americano ), il romanzo grafico ( in volumi autoconclusivi e non ), piuttosto che sulla serializzazione su riviste specializzate, raccolte in seguito in tankobon ( i volumetti deluxe ), tipici della trafila della maggior parte dei mangaka del Sol Levante. Abile in ogni tipo di narrazione, dall’hard boiled di matrice americaneggiante, più cupo e disperato ( “Tokyo Killers” ) al racconto tradizionale di samurai ( “Il libro del vento”, su testi di Kan Furuyama, che ricostruisce, senza lesinare sull’azione, i dettagli storici e le dinamiche sociali del Giappone Feudale. Senza manicheismi e senza insopportabili didascalismi moralistici ).
Non sono mancate le storie ambientate nella sua amata Francia, “I guardiani del Louvre” o il bellissimo “Un anno-primavera”, primo capitolo sui drammi e le gioie di una bambina affetta da autismo e della sua famiglia che avrebbe dovuto constare di altri tre capitoli ( uno per stagione ), purtroppo mai conclusi. Non è mancata l’attenzione alla storia europea, intrecciata a quella giapponese come nel magnifico “La vetta degli Dei”, in 5 volumi, narrazione epica e mozzafiato di un “giallo” legato all’alpinismo eroico che interseca le vite di alpinisti europei e giapponesi di varie epoche. Un capolavoro ispirato alla poderosa opera libraria dello scrittore, amante dell’alpinismo e della montagna, Baku Yumemakura, anche sceneggiatore dei volumi a fumetti. La meticolosità della “descrizione” grafica degli ambienti montani dell’Everest e dei costumi delle popolazioni locali ( in parallelo alla velocità della vita quotidiana giapponese, dagli anni ’70 in poi ) è mozzafiato. Un’opera imperdibile e imprescindibile per ogni amante delle vette e dell’alpinismo. In cui è tratteggiata come in poche altre opere la sfida dell’uomo con se stesso e con la natura. In “l’uomo della tundra” e “allevare un cane e altri racconti” è analizzato, con gran delicatezza, il rapporto tra l’uomo, la natura e gli animali ( nel primo caso, ispirandosi anche a racconti che sembrano strizzare l’occhio a Jack London, ma non solo e nel secondo, al contesto urbano nipponico ). Natura che spesso, è solo il motivo per parlare delle relazioni umane e personali, all’interno della società giapponese, soprattutto in famiglia.
E’ il caso de “l’olmo e altri racconti” oppure di “l’uomo che cammina”, straordinaria epopea ad immagini, con il testo ridotto all’osso necessario, in cui si parla di un uomo, quasi ingenuo per i tempi moderni, il cui vezzo è abbandonarsi all’ambiente circostante e a lunghe camminate, per ritrovare i ritmi lenti e introspettivi, lontani dalla vorticosità dello stakanovismo e così ritrovare se stesso. Argomento molto simile in “Furari”, con un protagonista molto simile, ma ambientato tra il Settecento e l’Ottocento e ispirato all’epopea del cartografo Ino Tadakata ( 1745 – 1818 ). Ma erano le tematiche meditative e nostalgiche, il forte del maestro di Tottori. Accompagnate da un disegno sobrio eppure stracolmo di dettagli maniacali. Al centro, il rapporto irrisolto con gli episodi del passato, con la vita di paese. Problemi che l’uomo giapponese si porta dietro anche e nonostante la migrazione nella grande città. “Al tempo di papà”, parte dalla morte del padre del protagonista per condurlo al ricordo della vita nel paese natia, della bottega di barbiere del padre e della fuga di casa della madre, nonché della durezza orgogliosa fino all’eccesso e del coraggio del genitore, sullo sfondo del duro dopo-guerra. “Uno zoo d’inverno”, ambientato negli anni ’60, è l’occasione per ricostruire le vicissitudini della carriera di disegnatore esordiente, ancorato tra la paura di perdere un lavoro stabile e la volontà di rischiare un mestiere ancora così tanto “aleatorio”. Un dilemma non da poco nell’ottica del pragmatismo e dell’etica del lavoro giapponesi. “La montagna magica”, è una sorta di “Stand by me kinghiano” in salsa nipponica. Due bambini, un’estate presso la casa dei nonni, la presenza di tematiche soprannaturali che nella narrativa orientale non sono affatto in disaccordo con delle trame più crepuscolari e realistiche.
“Gli anni dolci” è la delicata storia d’amore tra una trentenne single e il più adulto e attempato ex professore d’inglese. Una storia tenera e meditativa che, senza sensazionalismi che non manca di raccontare anche gli episodi più intimi, senza pruderie e senza voyeurismi. Riuscendo ad affrontare, nel finale, anche se in modo soltanto accennato, la fisicità della coppia, al di fuori dei tabù nipponici ( ma senza alcuna malizia erotica ). “In una lontana città” (ripubblicato, in Italia, in seguito con il differente titolo “quartieri lontani” ) l’autore utilizza un ennesimo escamotage narrativo: un business man di mezza età, insoddisfatto e amareggiato dai problemi famigliari e dal troppo lavoro, si ritrova nel suo corpo di adolescente, ai tempi della scuola ma con la coscienza di uomo maturo e la conoscenza di dolorosi episodi futuri. Cercando di impedire la fuga da casa del padre, scomparso senza lasciare più tracce. Un’opera che alla nostalgia, sempre presente, per i ricordi della giovinezza e dell’alveo natio aggiunge però la consapevolezza di poter risolvere le situazioni presenti, attraverso la forza di volontà e della necessità di “elaborare” perdite e sconfitte subite. Infatti, il protagonista non riuscirà a impedire al padre di abbandonare la famiglia ( il passato non si può cambiare. MAI! Neanche tornando indietro ) ma almeno lui riuscirà a riconquistare l’affetto presente dei figli e della moglie.
Chiude la rassegna, in ordine sparso e non pedantemente cronologico, “un cielo radioso”. Un incidente notturno: un padre di famiglia investe un giovane motociclista. L’uomo muore ma il ragazzo si salva per miracolo. Al risveglio dal coma, però, nel corpo del ragazzo entrambe le coscienze incominciano a convivere e a manifestarsi. Come a voler offrire all’uomo adulto un’ultima possibilità di rimediare ai propri errori. Ogni opera dell’autore giapponese è una piccola perla. Un gioiello di emozioni, sia visive che concettuali. La sua dipartita è una gravissima perdita prematura per l’Arte mondiale. Ma restano, appunto, i suoi fumetti. “Romanzi ad immagini”, giustamente definiti. Impossibile non provare una fitta nel petto, leggendo gli avvenimenti attraverso i suoi personaggi. Sentire quel filo rosso che lega gli uomini e le storie alla Storia. Che diventano esse stesse Storia. Ci mancherà il Sensei Taniguchi.
Ci mancherà perché non sapremo cosa ancora avrebbe potuto scrivere, lui che ha scritto di qualsiasi argomento e di qualsiasi periodo storico e contesto geografico. Abbozzando minuziosamente le ingenuità, i dolori, gli eroismi, le difficoltà degli uomini di tutti i tempi. Giapponesi e non. Mantenendo quello sguardo incantato e unico degli uomini d’oriente eppure avvicinandosi così tanto al gusto e all’epica, storica o quotidiana, prediletta da noi europei. Uomini comuni ma mai mediocri. Mai “conformisti” e piegati al proprio tempo ma mai inutilmente persi in rivoluzioni anti-tradizionali pilotate e sterili. Uomini che sanno trovare il loro posto e il loro equilibrio all’interno della Comunità, con tutte le storture e i disagi che comporta il vivere in società. Perché esiste un Ordine spirituale, “celeste” che nella Comunità si realizza. E non si può né si deve sovvertire. Mai appiattiti e mai scioccamente conformisti dell’anticonformismo. Buon viaggio, Maestro. Che gli Dei dello Scinto La accolgano con uno splendido sorriso di sole. Senza lacrime. Sapendo che ha vissuto pienamente la vita che ha scelto. Senza rimpianti. O, piuttosto, nonostante i rimpianti. Arigatou gozaimasu!
Maurizio L’Episcopia