Roma, 11 apr – Nove navi da guerra e 26 jet militari, intorno a Taiwan va in scena la prova di forza della Cina. Massicce operazioni militari che allarmano le autorità di Taipei e tengono il mondo con il fiato sospeso per il timore di un nuovo conflitto, dagli esiti imprevedibili. Incubo di notti primaverili che le nostre menti, a queste latitudini, tendono a scacciare sin troppo facilmente. Dopotutto, pensiamo, saremo di fronte all’ennesima operazione di facciata messa in piedi da Pechino, alla solita risposta a quelle che in Cina vengono considerate “provocazioni” americane, al classico copione di affermazioni infuocate incrociate. In fondo, tendiamo a osservare distrattamente quanto accade da quelle parti, luoghi così remoti e dai più altrettanto misconosciuti, come se fosse un déjà vu stile missili nordcoreani lanciati a ogni piè sospinto tanto per mostrare i muscoli. Rocket Man, in fin dei conti, è giusto una bella canzone di Elton John. Illusioni dettate da sfuggenti dinamiche orientali, dismissione di geografia a vantaggio di agile ricerca su Google Maps. Di qui il primo equivoco: credere che Taiwan sia unica isola destinata a ricongiungersi con madre continentale. Eppure carta politica ci dice che la Repubblica di Cina non è un’isola. Costellazione marittima, mare trapunto di scogli e stretti strategici, di cui Taiwan non è altro che la porzione di terraferma principale. Stato insulare de facto, l’anello sfuggito al Dragone rosso è formato in realtà da Taiwan – conosciuta altrimenti con il nome neolatino, dal sapor coloniale, di Formosa – e da tre arcipelaghi: Penghu, Kinmen e Matsu. Su quest’ultimo è il caso di soffermarsi ora, per tentare di comprendere quanto sta accadendo in quella che per comodità di lettura continueremo a chiamare impropriamente Taiwan. Perché l’arcipelago di Matsu, forzando ma non troppo, può essere considerato un lontano gemello del Donbass.
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Occhio alle Isole Matsu, possibile Donbass di Taiwan
Le Matsu sono un arcipelago costituito da 19 isole, molte delle quali disabitate. Prendono il nome dalla dea dei mari della mitologia cinese: Mazu (o Matsu, appunto, “Madre Ancestrale”). Parentesi curiosa: nella città di Tientsin, già colonia italiana, il Tempio di Mazu è da secoli uno dei più importanti centri taoisti dell’Estremo Oriente. Chiusa parentesi: se osservate bene la mappa, le Matsu segnano, insieme all’isola di Kinmen, il confine estremo di Taiwan rispetto alla Cina. Sono più vicine alla costa meridionale cinese che a Taipei e sembra quasi impossibile che non siano controllate da Pechino.
Taiwan mantiene attivi alcuni tunnel sulle isole, per nascondere rifornimenti militari e per ripararsi in caso di attacco, ma non può contare su molte armi in loco. Non a caso i residenti delle Matsu sono convinti di non avere alcuna speranza nel caso di un conflitto militare con la Cina. Tuttavia gli esperti militari taiwanesi sono altrettanto persuasi che questo arcipelago abbia un valore strategico unico, perché può consentire di rilevare segnali di mobilitazione militare nella città cinese di Fuzhou e fungere da trampolino di lancio per un’eventuale risposta di Taipei. Esattamente come per Xi Jinping potrebbero fungere da ponte per la “riunificazione” considerata “ineluttabile”. Per questo le Matsu restano sospese, ammantate di atmosfera surreale, di nebbia acquosa. La Cina non è però la Russia, dalle mosse di quest’ultima ha semmai tratto una lezione. Prendersi le Matsu significherebbe aprire un conflitto totale con Taiwan, proprio come “l’operazione speciale” in Donbass si è rivelata subito una guerra dichiarata a tutta l’Ucraina. In questo caso occupare quei territori insulari, a due passi dalla costa cinese, sarebbe forse più semplice, ma non per questo più saggio. Ciononostante, qualunque siano i reali piani di Pechino, alle Matsu gli abitanti continuano a osservare uno slogan scritto a mano da Chiang Kai-shek in una sala spesso visitata dagli studenti del posto. Una frase forse profetica: “Stai vigile e preparati alla battaglia“.
Eugenio Palazzini
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