Roma, 4 mag – Nei giorni in cui prima il devastante terremoto in Nepal e poi l’inaugurazione dell’Expo, con relativo contorno di vetrine sfasciate e macchine incendiate, hanno monopolizzato l’attenzione dei media, non si sono ovviamente arrestati i flussi migratori fra il nordafrica e le coste italiane.
Nella sola giornata di sabato sarebbero circa 4.000 gli immigrati soccorsi dalla Marina Militare al largo delle coste libiche.
Il dato più preoccupante, però, è il nuovo stallo nei negoziati, portati avanti nelle scorse settimane dall’inviato Onu Bernardino Leon, fra i due governi che nominalmente si stanno dividendo il controllo della Libia. Tanto il governo internazionalmente riconosciuto, che ha sede a Tobruk, quanto quello islamista, stabilitosi a Tripoli, avrebbero infatti rifiutato il piano di pace proposto dalle Nazioni Unite.
Questa situazione favorisce naturalmente l’aumento delle partenze verso l’Europa, in quanto perpetua lo stato di caos politico e militare nella ex colonia italiana.
Che le trattative non fossero partite sotto i migliori auspici era un dato di fatto, visto che in contemporanea all’inizio delle stesse si erano verificati diversi scontri nella regione di Tripoli, e l’ottimismo delle Nazioni Unite pareva quanto meno fuori luogo. I due principali scogli che sembrano impedire qualsiasi soluzione della crisi sono l’incredibile frammentazione delle milizie e delle bande armate, che anche se alleate con Tobruk o con Tripoli rispondono in realtà a logiche squisitamente tribali, non riconoscendo altra autorità, e il fatto che entrambi i governi sono troppo deboli per vincere la guerra civile ma troppo forti per perderla.
La svolta, in questo quadro che sembra disegnato apposta per far proliferare l’Isis, già stabilitosi a Derna e – sia pure per un breve lasso di tempo – a Sirte, potrebbe venire non dalla derelitta Unione Europea, sempre meno capace di assumere qualsivoglia iniziativa di politica estera, ma dall’Egitto.
Fonti dell’intelligence israeliana, citate dal solitamente ben informato sito Debka.com, riferiscono che l’Egitto sta ammassando truppe di terra vicino al confine con la Libia, spostando parte dell’aeronautica e della marina in basi molto vicine alla Cirenaica.
La conferma di queste voci potrebbe essere la visita a sorpresa di due settimane fa del direttore della Cia, John Brennan, che ha incontrato direttamente l’uomo forte del Cairo, Fattah Al Sisi, per esprimergli la perplessità di Obama in merito a un possibile intervento egiziano in Libia.
Al contrario, gli americani non si opporrebbero ad un intervento operato attraverso un potenziamento dell’esercito libico, fedele a Tobruk, guidato da Khalifa Haftar. Personaggio che gli americani già supportano da tempo (per un lungo periodo ha vissuto in esilio negli Stati Uniti, prima di rientrare in Libia alla caduta di Gheddafi, guidare un farsesco colpo di Stato e scornarsi contro gli islamisti estremisti e moderati della Cirenaica), e che proprio lo scorso 2 marzo è stato ufficialmente nominato comandante in capo dell’esercito fedele al governo di Tobruk.
La risposta di Al Sisi sembrerebbe interlocutoria, in quanto pur rassicurando gli Stati Uniti sulla brevità dell’operazione (ma in quell’area si sa quanto difficili siano queste previsioni), si è dichiarato dubbioso sulle possibilità dell’esercito di Haftar di riprendere in mano la situazione, lasciando quindi sul tavolo l’opzione dell’intervento diretto delle forze armate egiziane. La prova del disaccordo, sempre secondo Debka, starebbe nella mancanza di un comunicato congiunto al termine dell’incontro.
L’obiettivo dell’Egitto sarebbe in sostanza quello di eliminare dalla Cirenaica ogni infiltrazione islamista, spina nel fianco del governo egiziano in quanto costituisce un supporto logistico ai Fratelli Musulmani e agli altri gruppi jihadisti che operano all’ombra delle Piramidi. Pertanto è ipotizzabile che il primo obiettivo sarà l’autoproclamato Califfato di Derna, direttamente collegato all’ISIS siro-iracheno, e già bombardato dall’aria negli scorsi mesi.
Tuttavia, considerando la quantità di milizie presenti all’interno della Libia, e l’assenza di una linea del fronte ben definita fra il territorio sotto il controllo di Tobruk e quello di Tripoli, viene da chiedersi fino a che punto Al Sisi farebbe avanzare i suoi carri armati, e se, vista l’enorme disparità fra le forze armate egiziane e quelle fedeli al governo islamista di Tripoli potrebbe essere tentato di arrivare fino alla Capitale. E in questo caso, sarebbe poi in grado di garantire un effettivo controllo dell’immenso territorio libico?
La risposta a questa domanda determinerà il prossimo futuro della Libia.
Determinerà anche, in virtù delle dichiarazioni del governo di Tripoli, che si è detto assolutamente incapace di intervenire per fermare le partenze dei barconi verso l’Italia, il destino dei flussi migratori: se sulla sponda meridionale del Mediterraneo ci sarà un’autorità credibile con cui confrontarsi, sarà allora possibile collaborare per arrestare il mercato di esseri umani, esponenzialmente aumentato nell’ultimo anno, in concomitanza con il precipitare della crisi libica.
Le alternative alla carta egiziana sono solo due: l’intervento diretto dell’Europa sulle coste della Libia, o la resa finale ai trafficanti, e l’accettazione del fatto che nei prossimi anni gli immigrati non si conteranno nell’ordine delle decine, ma delle centinaia di migliaia di persone.
Mattia Pase