Roma, 28 feb – Più che una corsa quella agli armamenti sembra una lunga marcia e nessuno sembra avere il fiatone, tanto meno i paesi come la Cina e la Russia che hanno incrementato in modo imponente le spese militari senza accusare grossi contraccolpi. Se ancora l’egemonia del gigante Usa è netta, Washington è tuttora in grado di sostenere il 40% delle spese militari globali, non si può dire che le potenze emergenti stiano alla finestra. Solo nel 2012 gli Stati Uniti avevano ridotto la spesa per gli armamenti del 6%, una politica simile ai Paesi Ue che avevano applicato tagli netti. Di contro la Cina aveva aggiunto 8 punti percentuali, la Russia 15 e l’Arabia Saudita 11. Il trend nel 2013 non è stato invertito ma a crescere sono stati anche India, Vietnam, Corea del Sud e Giappone, quest’ultimo sempre più lanciato verso un rilancio del proprio esercito, come abbiamo riportato anche su questo giornale. Al momento comunque gli Usa, che hanno però annunciato più volte di voler ridurre ulteriormente le spese militari, con 600,4 miliardi di dollari annui devoluti gli armamenti guardano ancora da molto in alto la Cina, seconda potenza militare del globo che si ferma a 112 (81 miliardi di euro), la Russia che impiega 68,2 miliardi di dollari e l’Arabia Saudita che ne sfodera 59,6.
Un dato però che non trascura l’International Institute for Strategic Studies (Iiss), nel “The military bilance 2013”, è l’impiego sul campo degli armamenti, che nessuno come gli Stati Uniti impegna su vari fronti di guerra sottraendoli inevitabilmente alle forze reali a disposizione. Se poi la Cina continuasse ad avere una crescita economica annua del 10%, entro il 2050 raggiungerebbe gli Stati Uniti, cosa però che molti analisti non danno affatto per scontata ritenendo inverosimile una crescita a questi ritmi del dragone asiatico.
La questione però è forse mal posta, per i cinesi non si tratta infatti di una corsa contro il tempo. Pechino sa bene che come nel gioco del Go basta iniziare a disporre le proprie pietre sulla scacchiera evitando che l’avversario riesca a catturarle, ritagliandosi al contempo dei territori che non possano essere invasi e nel frattempo le altrui pedine potrebbero cedere ed essere catturate, o meglio sostituite con le proprie. Una pietra alla volta, senza fretta, si riuscirà a controllare uno spazio territoriale maggiore dell’avversario, anche qualora esso partisse da una posizione di vantaggio. Il Go, ben più di un semplice gioco da tavolo, è alla base delle strategie militari cinesi. Ma per capire lo spirito che anima le mosse strategiche di Pechino, basterebbe ricordare la risposta che diede Zhou Enlai, braccio destro di Mao, ad una domanda riguardo le conseguenze della apparentemente remota rivoluzione francese. In quell’occasione, l’acuto politico cinese mostrò tutta la sottile ponderatezza confuciana, proverbialmente contrapposta all’impazienza occidentale: “L’impatto della rivoluzione francese? Troppo presto per giudicarlo”. Era il 1972.
Eugenio Palazzini
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[…] nel campo aerospaziale ma come abbiamo mostrato per quanto riguarda la corsa agli armamenti in un precedente articolo la situazione sta lentamente […]