Damasco, 3 mar – Il fronte venutosi a creare fra l’esercito regolare siriano e i ribelli sostenuti dalla Turchia minaccia di accendersi in seguito a due dichiarazioni che hanno caratterizzato la giornata di giovedì 2 marzo. Stando infatti a quanto riporta il quotidiano di Istanbul Daily Sabah, dopo aver strappato Al Bab all’Isis, il Free Syrian Army e i suoi alleati turchi puntano a scacciare le Sdf (Syrian Democratic Forces, le formazioni a guida curda che controllano il nord della Siria) da Manbij, la cittadina a ovest del fiume Eufrate strappata dai curdi all’Isis lo scorso autunno. L’Eufrate rappresenta quello che secondo i Turchi dovrebbe essere il limite dell’influenza curda in Siria e il superamento di questo confine naturale è visto da Ankara come una sorta di dichiarazione di guerra al proprio interesse nazionale. La vittoria sull’Isis ha quindi portato l’esercito turco a dedicarsi, per il tramite delle bande dei “ribelli moderati” anti Assad, al territorio occupato dalle Sdf, e quindi dai Curdi, che non nascondono più le loro intenzioni di creare una provincia autonoma all’interno della Siria, sulla falsariga di quanto fatto dai loro connazionali nel nordest dell’Iraq. La differenza fra le due realtà è che il Kurdistan iracheno è guidato da una fazione sostanzialmente filoturca, mentre i curdi siriani sono stretti alleati del Pkk.
La seconda dichiarazione fondamentale è proprio del consiglio militare di Manbij, emanazione delle Sdf, che ha richiesto l’aiuto dell’esercito siriano per difendersi dal Fsa e dai turchi, concedendo ai soldati fedeli ad Assad la possibilità di occupare militarmente una vasta area, in modo da frapporsi fra i due contendenti. Si sarebbero già registrati scambi di armi da fuoco fra gli schieramenti. Se il conflitto dovesse deflagrare, difficilmente si potrebbe tornare indietro e la Turchia si troverebbe invischiata in una guerra totale ai suoi confini meridionali. Da quanto risulta, in quel quadrante l’esercito siriano schiera le sue unità d’elite, ovvero la Forza Tigre e i Falchi del Deserto, che in caso di guerra darebbero del filo da torcere all’apparentemente superiore esercito turco, e potrebbero contare, grazie all’anomala alleanza con i Curdi, sulla quinta colonna in territorio turco rappresentata dal Pkk. L’elemento che permette di sperare in un semplice, ma sanguinoso, gioco delle parti che si risolverà in un qualche accordo è il ruolo della Russia, che sarebbe l’artefice del veloce negoziato fra i Curdi siriani e il Governo di Damasco. I Curdi siriani sono però appoggiati anche dagli Stati Uniti e va quindi valutato attentamente l’orientamento della Casa Bianca, che appare disposta a collaborare con il Cremlino anche a costo di indispettire lo storico alleato turco.
Nell’analisi della situazione va incluso anche il ruolo che i Curdi potrebbero avere nell’assalto finale alla “capitale” dello Stato Islamico, Raqqa. Le Sdf sono così vicine alla città da poter sferrare un attacco da un momento all’altro, ma chiaramente non si presteranno a fare da carne da macello senza un accordo che conceda loro una qualche forma di autonomia nella Siria che nascerà al termine della guerra civile. Autonomia difficilmente accettabile da Erdogan, che – non va dimenticato – meno di otto mesi fa è stato l’obiettivo di un colpo di stato tentato da una fazione non meglio identificata dell’esercito. Se davvero Damasco dovesse prendere il controllo della zona, e il Free Syrian Army (con l’inevitabile placet dei Turchi) decidesse di attaccare, si verrebbe a creare una situazione esplosiva, di cui difficilmente si potrebbero immaginare gli esiti. Come accennato, potrebbe anche trattarsi di una recita, finalizzata a definire un bilanciamento delle forze in vista della prossima tornata negoziale, prevista ad Astana per metà marzo. Ma riesce difficile capire come sarà possibile conciliare gli interessi strategici di Siriani, Curdi e Turchi, visto che per tutte e tre le parti il controllo del nord della Siria è diventato irrinunciabile.
Mattia Pase