Roma, 4 mag – Cosa ci fa a Roma l’uomo forte della Cirenaica? Il generalissimo Khalifa Haftar che controlla la vasta regione orientale di quella che un tempo fu la Libia unita, l’ex ufficiale dell’esercito di Gheddafi, il militare addestrato dall’Unione Sovietica e poi rifugiatosi negli Stati Uniti prima di tornare da leader imposto in Libia, ha incontrato ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Lo ha fatto “in gran segreto”, perché ufficialmente dal governo italiano non è pervenuta alcuna comunicazione sulla visita di Haftar nella Capitale. Stando a quanto riferito alle agenzie da “fonti informate”, il generale libico dovrebbe essere ricevuto oggi anche dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Chi è Khalifa Haftar
Khalifa Haftar non è semplicemente l’uomo forte della Cirenaica. Non è neppure soltanto un generale sostenuto nella partita libica, dopo la caduta di Gheddafi, prima dalla Francia e poi dalla Russia. Haftar è un vecchio amico della Cia, almeno dal 1987 quando da comandante dell’esercito di Gheddafi fu fatto prigioniero dalle forze armate del Ciad durante la battaglia di Wadi al-Dum.
Da prigioniero formò, grazie ai servizi statunitensi, la cosiddetta “Forza Haftar”, composta da circa 2mila carcerati libici che avrebbero dovuto rovesciare il regime libico. Fu il primo tradimento di Haftar che, nel 1990, dopo un breve trasferimento in Zaire organizzato dalla Cia, fuggì in Usa grazie a un lasciapassare di Washington. Negli Stati Uniti ottenne la cittadinanza americana e trascorse 20 anni, prima di lasciare la sua casa in Virginia e far ritorno in Libia nel 2014 per contribuire attivamente all’insurrezione contro Gheddafi, voluta da Parigi e Washington.
Da ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore della Cirenaica, ha cercato di abbattere il governo di al-Sarraj sostenuto dall’Italia. Il tentato blitz, come noto, fallì. Ma il generale ha continuato la sua guerra, apparentemente isolato a livello internazionale, eppure, a ben vedere, appoggiato dietro le quinte da altri “nuovi amici” incontrati sulla via libica, che lo hanno salvato, sostenuto e pompato varie volte: Egitto, Russia ed Emirati Arabi Uniti su tutti. Haftar sembra dunque un grimaldello, da tirar fuori all’occorrenza per rompere i tentativi di formare istituzioni più o meno stabili nell’ex colonia italiana. Tuttavia, pragmaticamente, con Haftar tocca trattare. Perché questo ci porta il Ghibli, adesso. Un vento sin troppo caldo, irrequieto, da tenere a bada. Vediamo perché.
La Libia nel caos e il problema clandestini
La Libia resta un “non Stato”, frastagliato, spacchettato, nel caos. Da alcuni mesi però, grazie a un accordo siglato con l’attuale premier di Tripoli, Abdelhamid Dbeibah, il generale Haftar è tornato ad essere sostanzialmente un interlocutore “accettabile” per l’Italia e per l’Europa. L’ultima volta fu nel 2020, quando Di Maio e Conte volarono a Bengasi, con esiti pessimi. E la guerra civile di cui è stato protagonista indiscusso, con tanto di attacco a Tripoli sostenuto dalla Wagner russa? Acqua passata, adesso l’uomo forte della Cirenaica è attore decisivo da cui non si può prescindere, pena un’ondata di migranti ingestibile.
Il 28 gennaio scorso, il primo ministro Meloni si era recato a Tripoli, assieme a Tajani e Piantedosi, per un incontro importante con le autorità della Tripolitania. Uno degli obiettivi principali di quell’incontro, inutile ribadirlo, era proprio quello di “trovare soluzioni strutturali e verificabili” per il contenimento dell’immigrazione irregolare.
Obiettivo chimerico, perché per centrarlo mancava l’altro interlocutore fondamentale: Haftar, appunto. Non a caso, durante un altro recente incontro a Il Cairo, Tajani ha chiesto al leader egiziano Al Sisi di intervenire sul generale libico per fermare il flusso di clandestini che partono anche dalle coste della Cirenaica. E’ possibile che Al Sisi si sia prodigato per agevolare la visita odierna di Haftar a Roma, primo tassello di lunga trattativa con “l’altra Libia”, quella orientale, dimenticata dall’Italia ormai da troppi anni.
Eugenio Palazzini
1 commento
Anche il Ghedaffi del libretto verde, ai tempi filo sovietico, è poi passato ai lidi ben più remunerativi e per questo per lui fatali della finanza occidentale. Di esempio in esempio anche da quelle parti si è pronti ad oscillare parecchio.